La storia della scuola è la storia di ciò che si fa, la
storia di chi agisce all’interno della scuola; non è la storia semplicemente
delle istituzioni scolastiche. Se per noi scuola non è solo l’istituto, se
facciamo discendere la scuola dal concetto di Scholé la scuola è TUTTO; la
storia dei maestri, della loro formazione, dell’atto educativo che nella scuola
si verifica. Per studiarla in questo senso più ampio abbiamo bisogno di avere
un riferimento teorico per capire gli eventi e gli autori che hanno apportato
testimonianze e contenuti al concetto di educazione. Scuola sempre più
riconoscibile come entità cui la società delega la formazione e l’educazione
delle nuove generazioni. Si fa largo il vero e proprio concetto di scuola; e
infatti, i teorici, i pensatori, i pedagogisti cominciano ad essere i testimoni
di un’evoluzione del concetto di educazione che vive nell’ambito scolastico.
Consideriamo la sfida educativa basata su due parametri principali:
- 1. Considerazione del concetto educando
- 2. Conflitto, ancora oggi irrisolto tra libertà e autorità
Man mano che si arricchisce il prisma del sapere relativo al
fatto educativo, più i conflitti sono evidenti. Basti pensare al conflitto tra
Dewey e Maritain (visione laica e cristiana), dove più che di contrasto
potremmo parlare di forti fattori di complementarietà. Uno pone al centro la
possibilità di recuperare un percorso di grande ricchezza potenziale
dell’educando, e l’orizzonte valoriale di senso da farcire alle generazioni
diventa faro grazie al quale lumeggiare il percorso educativo del soggetto
persona. Concetti complessi che fanno capire quanto la ricchezza si ampli nel
percorso in cui si esercita, e quanto più questa ricchezza metta capo alcune
delle teorizzazioni più importanti e che ciascun educatore dovrebbe fare propri
del percorso di storia della scuola come sintesi dell’evoluzione
dell’educazione all’interno del contesto in cui si esercita -> la scuola!
Primo momento di conflitto, di superamento e avvicendamento teorico si verifica
quando un gran pensatore si pone a riflettere su come operare nell’ambito della
scuola, intesa come ambiente formativo del soggetto persona.
Giovanni gentile -> Il suo impatto teorico più
significativo della sua riflessione è “il fatto che l’educazione sia un atto
spirituale e non un semplice elemento fattuale”. Prima di Gentile (positivismo)
si pone l’accento sulla fattualità pratica dell’atto educativo, sul farsi delle
cose, sull’educazione come esperienza che prevale sull’atto spirituale di
Gentile. Il superamento di questo che per Gentile arriva da una concezione
dell’atto educante come quasi espressione dello spirito comune dell’uomo (non c’è
un fatto educante per Gentile che crei delle barriere o che possa sopportare
delle barriere tra educatore, educando, momento educativo). È come se fosse
talmente un atto spirituale che di fatto pone in connessione i partecipanti a
questo momento; e di fatto, Gentile, arriva a concepirli quasi come espressione
del medesimo spirito. Per cui, l’educazione diventa talmente la forma somma, la
più elevata del rapporto tra uomini, che testimonia quanto tutti, educatori ed
educandi, facciano parte di una medesima visione spirituale delle cose che si
portino a compimento l’un l’altro; un compimento che è un atto al quale noi
partecipiamo. Il ragionamento di gentile è laico, storico. È un modo attraverso
il quale l’atto educante viene astratto dalla realtà concreta e positivistica
della realtà e diventa il più elevato tra gli ideali laddove solo in una
connessione spirituale può compiersi l’educazione dell’individuo; formazione
dell’individuo viene così considerata uno dei momenti più importanti della
formazione dell’uomo. Non si passano saperi , non si passano nozioni; tutto
questo non è educazione. L’educazione è un momento spirituale condiviso in cui
la somma connessione di diverse persone, educatori o educandi che siano, in
quanto partecipanti a questo atto educativo, danno testimonianza dell’essere
parte di un solo spirito che li mette in connessione. Se non si è parte di una
visione spirituale così elevata, non si formano le nuove generazioni. Ed è per
questa profondità dello spirito come atto privilegiato di condivisione
formativa: per cui la vera formazione, la vera educazione , o è un atto
talmente elevato o non è; per cui, dice Gentile, “ l’educazione o è spirituale
o non è educazione”.
Lettura “Respingendo l’idea di fatto educativo Gentile
osserva che..” “…della relazione educativa”: Gentile non riesce a guardare
all’educazione come a un fatto consolidato scientificamente analizzato; ma è un
farsi, un farsi soggetto alla natura e all’anima delle persone che entrano in
gioco nel farsi di quell’atto educativo. L’educazione non può essere un dato, è
un percorso; e per compiersi il percorso ha bisogno di condividere una
spazialità che non è quella dei dati , ma è quella della connessione tra
persone che condividono lo stesso intento, che partecipano a quell’atto educativo.
Da Gentile: "l'uomo come soggetto in quanto anima, l'uomo come soggetto e nient'altro che soggetto" significa che -> l'uomo nella visione di Gentile non deve mai essere oggetto di un
fatto educativo preordinato rispetto
all'uomo; ma che l'uomo deve essere
soggetto spiritualmente evidente di quel farsi educativo è privato di quel
vettore spirituale l'atto educativo non c'è più.
" La caratteristica dell'anima è di farsi..."
"... o non sono spiriti o sono uno spirito unico" ->ecco perché l'atto
educativo è un atto spirituale; il fatto educativo e qualcosa di spirituale. La
visione spirituale riguarda l'atto educativo che mette in connessione i due soggetti,
che partecipano al ruolo della medesima attività, di quello che egli chiama
"farsi educativo" e non "fatto educativo". Fatto:
participio passato, è qualcosa che si dà come compiuto; il fatto è qualcosa che
già è e non è modificabile. Il farsi è qualcosa in cui l'uomo entra come
soggetto agente e ci entra in virtù di una condivisione spirituale di quel
farsi che è in fieri e non è un dato precostituito e risponde a regole di
matrice positivista.
“L’educatore, educando, si fa educatore”-> farsi,
soggetto, atto educando come atto spirituale condiviso. Essere parte del
medesimo atto spirituale dell’educazione significa che io sono educatore ma non
esisto se non in funzione del fatto che sto partecipando al medesimo atto
spirituale che mi lega all’educando. Non esisto come educatore se non educando ,
e non esisto in un educando se non in virtù del fatto che esiste non esisto in
quanto tale come fatto. L’educatore come soggetto persona è chi si compie nel
suo ruolo di educatore solo nel momento in cui crea un atto educativo che si
regge, dice Gentile, solo in virtù del fatto di essere un atto spirituale. Non
può esserci atto educativo se non partecipiamo a quell’atto attraverso una
visione onnipervasiva dello spirito dell’uomo, quindi sono io educatore a
creare l’altra persona; ed è questa la versione più elevata del concetto di
educazione. E come o la creo o non lo educo è chiaro che o io genero un atto
spirituale e completo nella mia educazione, oppure non sto educando; ed è
questo concetto che racchiude la citazione di gentile “l’educatore, educando,
si fa educatore”. Fuori dall’atto dell’essere educatore non siamo educatori.
Facciamo educazione nel momento in cui creiamo un contesto di condivisione. Il
grande momento di riflessione sull’atto educativo e l’attività scolastica si fa
nel momento in cui ci si pone la domanda: “ a scuola si trasmettono dei dati o
è anche un contesto in cui si educa”, se l’educazione è quella di cui parla
Gentile? “io a un bambino o un ragazzo è sufficiente che passi solo dei dati e
che non lo indirizzi su un orizzonte morale in vista del bene e del bello?
Domanda centrale che attraversa tutta la storia della scuola e la storia
dell’educazione. La scuola deve formare solo persone che conoscono quei dati o
deve anche individuare degli orizzonti di senso in vista dei quali cercare di
formare degli individui moralmente sani? Gentile supera la dicotomia tra corpo
e anima propendendo per l’anima e nel momento in cui siamo anima, siamo
soltanto anima.
Don Bosco è uno di quegli uomini di chiesa che dà
testimonianza di un fattore educativo che non è figlio della religione, o
dell’atto di fede; ma di una praticità nel campo educativo senza precedenti.
Don Giovanni Bosco è una delle figure educativamente più significative degli
ultimi secoli. Non in quanto uomo di chiesa, ma in quanto educatore.
L’intuizione di Don Bosco è quella che non c’è la possibilità di superare la
noia dello studio, dell’ educazione, della trasmissione dei saperi e dei doveri
se non c’è condivisione ad ampio spettro che vada anche nel campo dei piaceri,
della ricreazione, dell’atto condiviso. È un’intuizione di una genialità, di
una modernità e di un impianto educativo assoluto.
Lettura dove Don Bosco immagina di ricordare un incontro con
un suo vecchio studente ->”Don Bosco mi conosce?-si ti conosco!-si ricorda
di me?-si, di te e di tutti gli altri…” “…cosa manca? Manca che i giovani non
solo siano amati, ma che essi stessi riconoscano di essere amati!”
–“… non vedono che
tutto ciò che facciamo lo facciamo per loro?- ciò non basta! –che cosa ci vuole
dunque?- che essendo amati in quelle cose che a loro piacciono, col partecipare
alle loro inclinazioni infantili, imparino a vedere l’amore in quelle cose che
naturalmente loro piacciono poco”. -> cioè l’ educatore che sta con un
ragazzo anche nelle cose che piacciono al ragazzo è un educatore che dopo troverà
risposta anche nei doveri, anche nelle cose che piacciono di meno. –“osserva i
giovani a ricreazione, dove sono i
nostri salesiani?” -> nota la distanza non negli studi, non nei doveri, non
nel momento in cui si avvicendano i saperi; i nostri educatori non li vedo
quando i ragazzi fanno ricreazione, quando sono spensierati; è lì che
dovrebbero essere, è lì che sarebbero degli educatori a tutto tondo.
L’educatore per Don Bosco è colui che va in mezzo ai ragazzi anche quando non
c’è nessun sapere da trasferire, quando c’è da condividere la vita, quando c’è
da capire, o da interpretare, quando c’è da giocare insieme a un bambino per
fargli capire che non c’è quella distanza che il bambino teme di vedere perché
uno è maestro e l’altro allievo, perché quella distanza non si romperà mai nel
campo dei doveri. La capacità di educare, di formarlo a tutto tondo è quella di
recuperare quella distanza e di accorciarla, là dove il bambino ha bisogno di
premura, di cura. “nel tempo dell’oratorio, lei non stava sempre tra i giovani,
SPECIALMENTE durante l’educazione?”.
Giammancheri “educare nell’ordine dell’essere vuol dire…” “…
mai come mezzo”. Le riflessioni di Giammancheri su questo orizzonte di valori
che deve essere posto al centro della relazione educativo, si fanno un po’
sintesi. “soltanto nell’ordine dei valori si può dare educazione, negli altri
ordini non si va oltre… un orizzonte di senso”. L’atto educativo è un atto che o
si riferisce valorialmente al senso allargato del soggetto persona , o se si
ignora la persona, e quindi il suo riferimento valoriale, il senso
dell’educazione finisce e noi non sappiamo più che fare o come fare educazione
all’interno delle nostre classi. Questo ragionamento vale soprattutto quando il
processo educativo deve essere calato in una realtà educante che è quella riferibile all’età della vita in cui non
possiamo farci carico solamente di dati che trasferiamo ma dobbiamo spostare
l’accento sui soggetti che abbiamo di fronte per prenderli in carico sotto il
punto di vista di una cura formativa complessiva.
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