La bottega del caffè di Carlo Goldoni

Cesare Segre, nel suo discorso su Teatro e romanzo, osserva come nel teatro, la massima oggettività apparente si realizza col massimo della finzione, osservazione che sembra proprio calzare a pennello per questa commedia, La bottega del caffè, scritta in pieno clima di riforma in cui vi è una sperimentazione di ambenti e di personaggi, nel tentativo di fondere scena e personaggio, racconto e protagonista. Goldoni si muove tra  vecchio e nuovo rilanciando la proposta di un teatro fortemente centrato sulla scena stabile, in un’ordinata compostezza della regola. In realtà Goldoni aveva, nel 1736, dato il titolo Bottega da caffè ad un intermezzo in musica, un breve scherzo carnevalesco in lingua veneziana a tre voci dove i personaggi erano inseriti in un ambiente vivace e pettegolo disegnato con tocchi espressivi a tratti mescolati a una serie di artifici, travestimenti e finzioni.
Fu sfruttando quel lontano esercizio ambientale che Goldoni pensò di costruire questa commedia assai fortunata e dall’esito “brillante”. Nella stesura originale, la commedia era stata concepita con le maschere e per gran parte in dialetto; in seguito, approntando il copione per la stampa, il Goldoni cambiò il testo in toscano e abolì le maschere trasformando Brighella in Ridolfo e Arlecchino in Trappola. Così rinnovata, la commedia fu stampata contemporaneamente a Venezia e a Firenze:
La scena fissa rappresenta una piazzetta veneziana in cui si affacciano al centro un caffè, una bisca e un salone da barba; all’angolo una locanda e fra due stradine, la casa di una ballerina.
L’attenzione alla scena fissa vuole condensare nel minimo spazio una precisa dimensione di vita nella realtà di ogni giorno a Venezia; il locale del caffè rappresenta lo scenario ideale di incontro e centro di attrazione di un fecondo spettacolo dove l’intenzione è di raccogliere più che lo svolgersi della vicenda, la fenomenologia di un incontro, cioè di illustrare quel rapporto essenziale che lega azioni e interessi diversi.
L’ambiente si crea e rivive attraverso il vario discorrere del caffettiere coi suoi garzoni; mentre sullo sfondo l’andirivieni di gente che si alza “di buon’ora la mattina” e che ha “da far viaggio”, caratterizza i tratti fondamentali di quell’attiva ed operosa borghesia mercantile che proprio in quegli anni si muoveva verso una ricognizione consapevole delle proprie regole e dei propri ruoli.
Tendono ad imporsi fin dall’inizio le sagge ammonizioni di Ridolfo che di buon mattino rivolge a Trappola e ai suoi garzoni; trattasi degli articoli di un nuovo codice morale a cui il mercante ricorre rivendicando polemicamente la dignità del proprio mestiere. E’ che il Goldoni, nell’anno della grande sfida, tenta la commedia corale intrecciando ambienti e caratteri e concentrando nel microcosmo di una piazzetta, azioni e personaggi concreti dotati di una forte carica esemplare.
Vi è una contrapposizione moralistica tra il caffè, centro attivo e operoso di vita pubblica, e la “casa da giuoco”, e con una parallela diversificazione di personaggi e caratteri: da un lato Ridolfo, uomo proprio e civile, e dall’altra i viziosi, i deboli, gli sprovveduti (Pandolfo, Eugenio, Leandro, Flaminio). Ridolfo rappresenta l’artigiano onorato che sostiene con dignità e decoro il proprio mestiere ed è chiamato ad illustrare i temi positivi di una equilibrata attività economica e di una conseguente condotta morale. Attraverso la commedia vediamo la partecipazione del Goldoni agli interessi concreti dell’economia veneta e il richiamo polemico alla moderazione, alla prudenza, al guadagno onesto e sicuro. Ridolfo, infatti, di scena in scena si richiama alla forza persuasiva di un saggio e moderato buon senso.
Eugenio, invece, incline ai piaceri di una vita dissipata e oziosa, traduce i tratti tipici dei numerosi “zogatori”, che irrequieti e collerici, disperati e inquieti, combattono tra i rimorsi e i vani pentimenti. Infatti, fin dal suo primo apparire egli mostra i sintomi di un pericoloso disordine mentale: appena in scena chiede l’ora, ordina un caffè rimandandolo più volte indietro e alla fine sdegnandosi col caffettiere per non essere stato servito.
E’ da notare come l’attenzione al tema gioco, e il conseguente interesse riservato ai personaggi-giocatori, rappresenti, in un secolo straordinariamente dedito al gioco d’azzardo, l’intenzione di raccogliere, trascrivendoli in chiave comica, i dati concreti di un fenomeno contemporaneo, tipico del costume veneto del ‘700.  Secondo Goldoni, il giuoco era il vizio peggiore di tutti “chi giuoca lo fa per vincere e il desiderio di vincere ha come principio o l’avarizia o la scostumatezza; nel caso dell’avarizia, il giocatore vuole vincere per accumulare; nel caso della scostumatezza, egli vuole appagare le sue voglie non misurate alla sua condizione; in entrambi i casi c’è la poca voglia di fare bene anche perché egli ritiene che arricchirsi senza merito e senza fatica è cosa che agli oziosi piace infinitamente ma che essi non tengono conto che per la speranza del molto incerto finiscono per perdere il poco certo”.
Riferendosi alla commedia, però, l’intenzione critica si esercita su un carattere non vizioso ma incosciente dove viene infranta la misura data come norma di equilibrato viver sociale. Il vizio più grave è dunque la mancanza di una lucida coscienza di sé che spinge Eugenio a tradire le regole della sua professione contravvenendo ai principi di una morale basata sul rispetto dell’ordine, sul riconoscimento delle proprie responsabilità, individuali e sociali.
Goldoni raccoglie, nel personaggio di Eugenio, la possibilità per la borghesia di affrontare la crisi ricercando in sé le forze della sua esistenza e il rimedio dei suoi eccessi. Non a caso, accanto a Eugenio, colloca il personaggio di Ridolfo, onesto bottegaio, uomo ordinario ma di buon cuore e di buon giudizio che si adopera per antichi obblighi di riconoscenza a salvare il giovane da una vita dissipata e oziosa, restituendolo all’esercizio degli affari e ai sacri affetti domestici.
Nelle sue commedie, Goldoni non solo mette in ridicolo il vizio e lo punisce, ma principalmente mette in evidenza la virtù, la esalta e la premia facendo in modo che gli spettatori se ne innamorino e la mettano a confronto con i propri vizi e le pessime conseguenze di essi.
Altro personaggio chiave è Don Marzio, nobilastro decaduto e intrigante, dalla lingua tagliente, che giudica tutti e sostiene di avere sempre ragione, con l’aria malevola di chi ha già capito tutto senza nemmeno ricevere l’informazione completa. La presenza scenica della sua invadenza è tutta centrata sull’occhialetto, diabolico strumento con cui spia tutti e tutto. Egli utilizza l’oggetto come raffinato strumento di provocazione e di inganno ed esso acquista nella commedia valenze diverse: come simbolo palese dell’inganno, dove il personaggio se ne serve liberamente utilizzandolo come strumento di curiosa incredulità; e come oggetto talvolta capace di accentuare le tensioni e i contrasti; o ancora come strumento di denigrazione o di beffa.
Ma oltre all’oggetto, a caratterizzare la figura di Don Marzio è la parola, ripetuta e scandita con l’insistenza di un tic verbale (es. “porta di dietro”) a quel suo ammiccante intercalare che rinvia alla rigidità del personaggio, al suo ambiguo automatismo verbale. Goldoni volle probabilmente accentuare i tratti di questo personaggio per meglio imprimere il vizio, al fine di far vedere sul teatro i difetti de’ particolari, per guarire i difetti del pubblico e di correggere le persone col timore di essere poste in ridicolo.
Don Marzio rappresenta l’elemento perturbatore venuto a mettere scompiglio in una società di buoni costumi; è in sostanza l’elemento estraneo, responsabile di alterare, coi suoi intrighi e le sue smanie quell’ordinato gioco delle parti, fondamento della commedia e della vita in società.
Con questo personaggio, inoltre, Goldoni, sostiene la satira di quella nobiltà minore ridotta in rovina, dalla quale provenivano le uniche minacce all’ordine stabilito. E’ la loro stessa corruzione a generare, quasi per imitazione, i falsi nobili e “finzione” è la parola chiave: Leandro è un finto conte e si chiama Flaminio; Vittoria si nasconde in maschera sulle tracce del marito; la pellegrina non è che Placida, la moglie di Flaminio; nella bisca di Pandolfo si gioca con carte segnate; la casa della ballerina ha, forse, una porta di dietro.
Ma se è vero che la tradizione offre a Goldoni i pretesti più esterni, è anche vero che questi, sapientemente orchestrati, offrono elementi costitutivi e funzionali all’intreccio. Egli sostituì all’imbroglio della Commedia dell’Arte, un più raffinato intreccio di ragione e confusione, respingendo l’imprevisto e ricercando uno scioglimento chiaro e razionale; difatti viene riconosciuta la pellegrina come moglie di Flaminio e il conte Leandro come il suo corrotto marito. Lo stesso travestimento è un espediente diretto a smascherare la finzione dei rapporti umani e sociali, quel desiderio di apparire contrario al buon senso e alla ragionevolezza borghese.
Contrario alla polemica, Ridolfo richiama Eugenio alla dignità del proprio mestiere esortandolo al rispetto del padre.
Goldoni è orientato verso un recupero della tradizione come rimedio ai disagi e ai mali della Repubblica declinante, sullo stesso versante dell’esperienza di Gaspare Gozzi che riteneva i temi del costume, dei riti sociali, del teatro e della cultura, da ricondurre a un ordine borghese.
Ne scaturisce, dunque, una rivalutazione del mercante e della sua etica borghese che si inscrive nella realtà e nell’ambiente culturale veneto. La difesa goldoniana del commercio si collega ai caratteri propri della borghesia veneta, al mercantilismo di tipo artigianale, al commercio fondato sulla morale di economia, risparmio e virtù. La stessa morale ispirerà al Gozzi, qualche anno più tardi, le linee di un ampio programma di Riforma degli studi.
Goldoni, non amando agitare questioni di fondo, si limitò a una rappresentazione del reale senza però andare oltre la semplice annotazione e l’osservazione attenta di un mondo ritratto nel suo vivere quotidiano. Portò sulle scene il vissuto di un’epoca e la sua adesione all’illuminismo.

La commedia fu stampata quasi contemporaneamente dal Bettinelli di Venezia e dal Paperini di Firenze. Nel 1750 fu rappresentata per la prima volta in Mantova con fortunatissimo esito, e fu parecchie volte replicata.

LEZIONE DEL 23 MARZO

LETTERATURA ITALIANA (23 marzo):

AUDIO
Ci eravamo fermati alla genesi dell’Ortis, a come Foscolo comincia a riflettere sull’ insegnamento di Tacito e del suicidio come virtù.
Questo trattato sul suicidio doveva essere di carattere filosofico-politico, ma Foscolo non sviluppò questo manoscritto, il cui titolo era “Ultime lettere”, e lo mise da parte; solo qualche tempo dopo cominciò a ricopiare e conservare le lettere che effettivamente andava scrivendo e molte sono state trasferite successivamente nel romanzo. Questo elemento è molto importante perché fa riferimento all’ irruzione del presente di cui aveva parlato Bachtin. Ci troviamo difronte ad un processo di intellettualizzazione di Foscolo, che si rese sempre più conto della necessità di ampliare il suo iniziale progetto del trattato filosofico-politico sul suicidio, lo abbandonò e maturò tutto un nuovo concetto: ciò avvenne con la lettura di Montaigne, Hume e, in particolare, della Nouvelle Heloise di Rousseau e dei dolori del giovane Werther di Goethe.
In seguito a queste letture, il Foscolo ritiene il suo discorso sul suicidio completamente superato e anzi ritenne di dover dipingere sul suicidio, più che di sillogizzare, dando una struttura nuova al suo materiale e al suo romanzo. Foscolo stesso racconta questo processo, la genesi del suo romanzo nella famosa lettera al Bartholdy (il diplomatico berlinese autore d’un “Viaggio in Grecia” che aveva comunicato a Foscolo l’intenzione di Kaulfuss di tradurre l’Ortis in tedesco).
Nella seconda parte della lettera, Foscolo affronta una questione per lui molto scottante: era stato infatti accusato di plagio, di aver copiato il Werther di Goethe. Egli non negò di aver letto il Werther, dichiarò infatti di averlo letto dopo aver completato l’ultimo abbozzo del suo romanzo, ma è innegabile che la “spinta” di passare da un trattato sul suicidio al romanzo gli venne dopo le letture della Nouvelle Heloise di Rousseau e, per l’appunto, del Werther di Goethe. Foscolo cerca di allontanare i sospetti di plagio, ed affronta alcuni elementi interni che fanno capire che si tratta di due romanzi completamente diversi: Foscolo, infatti, afferma che il Werther va incontro ad una trasformazione (come affermato da Bachtin nel 1930 quando tratta dei caratteri dei personaggi nel romanzo), passa da una condizione di felicità a una di infelicità (ci colleghiamo dunque proprio ai caratteri del romanzo in senso moderno secondo Bachtin); invece, dice Foscolo, nell’Ortis Jacopo entra in scena “come uomo che si crede di aver vissuto ormai troppo”, ovvero entra già in scena con un senso di sconfitta, pessimismo, negatività, che non cambia nel corso del romanzo, la morte è presagita e meditata, quasi desiderata fin dal principio e addirittura vagheggiata. Quindi, afferma il Foscolo, che l’Ortis prende le mosse dal sacrificio della patria nostra; quando parla di patria è importante sottolineare che parla di patria in senso ideologico, ideale, non ne parla nel senso di Nazione, ma parla della piccola patria Veneziana (e la delusione che scaturisce, per l’appunto, quando Venezia viene ceduta all’Austria con il Trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797) a differenza della patria a cui farà riferimento Nievo nelle sue Confessioni di un italiano.
Il suicidio si innesta nel significato politico del romanzo, perché il romanzo è frutto di una delusione politica, storica, di tutta una generazione di intellettuali, e non è un fatto personale o individuale. Non si innesta, dunque, nel romanzo, la valenza passionale-amorosa che va solo e soltanto a verifica e a conferma della sconfitta politica. Foscolo riconosce che la magia del Werther risiede in un’unica passione del protagonista (quella amorosa) perché il romanzo di Goethe è destinato al cuore dei lettori, a differenza del suo che è destinato alla mente. Quindi ne discende che l’Ortis ha una natura intellettualistica, per dichiarazione dell’autore stesso (sappiamo bene che Foscolo come re Mida intellettualizza tutto ciò che lo circonda trasformandolo in letteratura). Questo spiega il suicidio come programma, ma non come la risoluzione di un percorso, ed in questo senso vanno intese anche le parole del Foscolo sul suicidio: “io volevo far stimare il suicidio come unico rimedio di certi tempi” (il suicidio come virtù secondo l`insegnamento di Tacito). Il suicidio ha una finalità ideologica, di protesta di questo romanzo, ed è una protesta nella quale confluisce tutta l’onda dell’autobiografismo.

Ecco perché questo libro fu molto amato dai giovani della generazione del Foscolo, i giovani della generazione sconfitta che si riconoscevano in questo romanzo. Da questo punto di vista possiamo considerare l’Ortis un romanzo moderno, perché la sconfitta e la delusione è la sconfitta e la delusione della moderna generazione, e il suicidio diventa il connotato di una intera classe sconfitta, che però visto il risultato di questo romanzo, rischia di essere connotato di un solo individuo (e qui siamo all`individualismo di cui parlava Asor Rosa), e questo individuo è Foscolo, un individuo di eccezione che si colloca al di fuori delle mischie, della folla, delle persone comuni, che si attribuisce il ruolo guida credendo di avere una missione da compiere (accentuato individualismo in questo programma sotteso alla scrittura di questo romanzo) nell`ambito di un ceto intellettuale a sé stante, separato dal popolo, separato dal resto del tessuto sociale. Su questa base si spiega anche la funzione consolatoria della poesia, così come anche il percorso che farà Foscolo a partire dall`Ortis per arrivare alle Grazie, al momento neoclassico, All`Amica risanata, a Luigia Pallavicini caduta da cavallo. È, questo, un itinerario che pone l’accento costantemente su questo processo d’intellettualizzazione, che è un connotato proprio di Foscolo.

Questo discorso di Foscolo si basa sull’edizione del 1802. L’edizione successiva del 1816 è stata revisionata, con tagli e aggiunte (la notizia bibliografica) e soprattutto con l’aggiunta della lettera del 17 marzo che è la cosiddetta lettera politica. In questa lettera Foscolo riflette sulla sconfitta giacobina, ma l’ha scritta nel 1816 e quindi con un metro di giudizio più obiettivo, in quanto scritta a posteriori, nel periodo della Restaurazione, quando era volontariamente in esilio a Londra.
Dell’Ortis è stata fatta anche una lettura di tipo psicanalitico. Innanzitutto Lorenzo è stato visto come un transfert del padre, mentre il suicidio è stato visto come il simbolo/risposta dell’intellettuale giacobino sconfitto nel suo ruolo-guida che si era proposto di essere all’interno della rivoluzione, quindi si tratta di un intellettuale esiliato che rifiuta con forza il buon senso interpretato da Lorenzo il quale, nelle sue risposte, cerca di calmare i furori di Jacopo. Il suicidio vuole essere il connotato di un’intera classe sconfitta, però finisce con l’essere il connotato di un solo individuo (possiamo collegarci qui all’individualismo di Asor Rosa); possiamo quindi dire di trovarci di fronte ad un accentrato individualismo, in cui l’individuo di eccezione, l’intellettuale, non si confonde con le masse, con il resto del tessuto sociale, ma si arroga il privilegio di uomo-guida: da qui alla funzione consolatoria della poesia il passo è breve.

Foscolo dunque prepara già con l’Ortis il terreno a ciò che scriverà dopo:
-1802 comincia a pensare alle Grazie (in cui la poesia è vista con la sua funzione consolatoria);
-1803 traduce la Chioma di Berenice di Callimaco;
-1804 traduce il Viaggio sentimentale di Stern;
-1807 pubblica i Sepolcri;
-inoltre sperimenta la traduzione dell’Iliade (tutto ciò sottolinea, alla base della formazione del Foscolo, l’amore per la classicità, e ne mette in luce la componente sensista e materialista).
A conferma di ciò, ricordiamo il fatto stesso che Foscolo rinuncia a collaborare al Conciliatore, un periodico italiano fondato a Milano nel 1818 da intellettuali romantici, e se ne va in volontario esilio, ci fa comprendere che Foscolo si pregia e si vanta di essere un individuo di eccezione, che naturalmente non si confonde con le masse, col resto del tessuto sociale, si arroga questo privilegio del ruolo-guida dell`intellettuale in questo processo rivoluzionario e, una volta tradito, non vede come altra soluzione il suicidio. A questo concetto si lega quello della funzione consolatoria della poesia (il momento culminante di questa funzione consolatoria della poesia è rappresentato dalle Grazie).
Il passaggio alle opere neoclassiche è spiegato anche dalla concezione che il Foscolo ha di intellettuale deluso dalla storia, alla ricerca di valori consolatori fuori dalla storia stessa. Questi valori sono inseriti in un`armonia nuova, che non è più un`armonia storica, è l`armonia del bello ideale, della bellezza, delle grazie, della bellezza neoclassica. All’intellettuale-guida della società che si proponeva Foscolo durante la rivoluzione, si sostituisce l’intellettuale poeta esule, cantore di un’armonia nuova, che è appunto l`armonia del bello neoclassico, di valori che non esistono più nella storia. Soli così possiamo capire come si passa alle odi neoclassiche e al momento importante delle Grazie. Il sonetto che ci dà proprio la misura di quello che stiamo dicendo è il sonetto “Forse perché della fatal quiete tu sei l`imago a me sì cara vieni, o sera!” (datato 1801), perché questo sonetto offre in modo esplicito il dato della delusione, dell’intellettuale-guida tradito: al concetto di “storia” si sostituisce il concetto di “bello” metastorico (al di fuori della storia) e consolatore, e ciò sarà alla base del neoclassicismo del Foscolo e al relativo sensismo che fa da base al neoclassicismo stesso.
Non a caso il suicidio di Jacopo è il suicidio dell’intellettuale giacobino incapace di sopravvivere allo scacco, alla delusione della storia.


Foscolo si riconobbe pienamente nel direttivo del triennio giacobino (dal 1796 al 1799) con la forza della sua cultura e della sua personalità: si buttò anima e corpo nella battaglia politica, nel 1796 fu addirittura a combattere per la difesa di Bologna nella Regione Cispadana con un ruolo di cacciatore a cavallo, nel 1797 andò a Venezia quando fu istituita la repubblica perché credeva che si potessero realizzare i suoi ideali e chiese di essere ammesso alla Società della Pubblica Istruzione (un’associazione dove si riunivano gli intellettuali e i patrioti allo scopo di propaganda politica e rivoluzionaria) e vi fu ammesso come socio. Partecipò alle sedute di quest’associazione con discorsi a favore della democrazia, contro i soprusi dei nobili. Fu anche segretario della municipalità
provvisoria di Venezia (un organismo di governo che fu costituito all’interno della repubblica veneziana e che prevedeva 3 ordini di sessioni) distinguendosi con prese di posizione contro la corruzione del clero. Dopo Campoformio, Foscolo passò nella Repubblica Cisalpina a Milano, dove collaborò col Monitore italiano, un giornale politico milanese che si fece portavoce delle aspirazioni libertarie italiane, condannò duramente il trattato di Campoformio ed assunse in generale una posizione critica nei confronti dei francesi, dei loro servili sostenitori e criticando l’involuzione della politica francese.
Alla fine del 1798, Foscolo tornò a Bologna e fondò “il Genio Democratico”, un giornale che ebbe però una vita breve, solo 9 mesi in quanto la Repubblica Cispadana crollò a causa degli austro-russi. Dobbiamo tenere presente che con l’ingresso degli austro-russi mano mano le repubbliche giacobine vengono “spazzate via” e che quindi Foscolo si spostava sempre in base alle sorti delle varie repubbliche, le quali ebbero vita breve e crollarono in tempi diversi (l’ultima a crollare fu la Repubblica Napoletana).

LEZIONE DEL 22 MARZO

 Alberto Asor Rosa si è occupato della storia della letteratura italiana nella prospettiva europea. Egli dice che l`Italia non è la patria del romanzo, perché il romanzo non nasce in Italia, ed anche quando l`Italia arriva a conoscere una fioritura romanzesca non si costituisce una vera e propria tradizione, a differenza degli altri paesi (ad esempio i Promessi Sposi rappresentano un caso a sé, difficilmente imitabile e ripetibile). Per Asor Rosa il romanzo in Italia è sempre un caso unico, un unicum, per cui più che di un romanzo si dovrebbe parlare di romanzi. Tant`è vero che tutta la produzione romanzesca italiana tra 800 e 900 non assomiglia a quella europea, né questi romanzi si assomigliano tra loro. Egli afferma che il romanzo rappresenta il mondo moderno, ma la modernità a sua volta rappresenta la perdita dell`ancien règime, la rottura delle vecchie corporazioni, la nascita di una società divisa in classi e la nascita della borghesia (come già aveva affermato Hegel): ciò implica la nascita di un pubblico nuovo, di massa, avido di ascoltare ma nello stesso tempo diventare soggetto e oggetto di narrazione. Asor Rosa si chiede: “esiste il narrativo in Italia?” La sua risposta è affermativa, però bisogna ricercare questa capacità narrativa  non nel romanzo, bensì nella NOVELLA (ad esempio dal Decameron di Boccaccio, ha preso il via la tradizione novellistica) e nel ROMANZO CAVALLERESCO. Sono queste le due forme peculiari del narrativo italiano, che corrispondono al modello antropologico dell`italiano antico, in quanto legate all`oralità (sono affabulazioni che derivano dall`oralità, afferiscono al modello della pre-scrittura come direbbe Bachtin) hanno come scopo il diletto, e trasformano il reale in fantastico (anziché il contrario, come fa il romanzo). Per Asor Rosa il ritardo del romanzo in Italia è dovuto anche alla forte pressione che ha esercitato la novella in quanto genere fortemente radicato, ed in seguito nasce dalla contaminazione sia di questa tradizione, costituita dalla novella, che dalla contaminazione da parte della tradizione cavalleresca. Per avere il romanzo in senso moderno, secondo Asor Rosa, bisognava scrollarsi di dosso questa forte tradizione novellistica (come fece il Manzoni) e dall`altro lato bisognava fare i conti con l`individualismo. L`individualismo costituisce una delle componenti più forti del romanzo, ma se negli altri paesi è individuato in un contesto sociale, di classe (ad es. Guerra e Pace), in Italia l`individualismo è prodotto dalla scissione tra individuo e società, in cui l`individuo si contrappone ad una società disgregata. Addirittura Leopardi nel suo “Discorso sopra lo stato presente degli italiani” dirà che l`Italia non ha società, e l`individuo diventa autoreferenziale. Le più grandi scritture narrative del 700-800 in Italia per questo sono autobiografie, dove l`io, non potendosi confrontare con una società disgregata, si racconta (e la letteratura è piena di esempi di questo tipo, come la vita di Alfieri, di Casanova, e appunto le Ultime Lettere di Jacopo Ortis). Asor Rosa dice che l’individualismo genera, in Italia, romanzi di carattere autoreferenziale. Qui torna il tema dell’eroe sfortunato, il tema dell’avventura, della ricerca, elaborati però in chiave strettamente autoreferenziale, nel senso che manca quel rapporto stretto con la società che poi risulta essere caratterizzante come parametro di riferimento per il romanzo moderno. Per Asor Rosa è stato proprio questo accentuato individualismo autobiografico a non consentire uno sviluppo del romanzo in senso moderno, ed è stato una costante della narrativa italiana per lungo tempo; in Italia, infatti, vi fu una grande presenza di romanzi autobiografici proprio perché si pensava che “non era possibile raccontare storie se non raccontando se stessi”. Allora se anche questo vuol dire scrivere romanzi, aggiunge e conclude Asor Rosa, anche la memorialistica garibaldina potrebbe rientrare nella tipologia del romanzo, o forse (e qui abbiamo un`apertura alla linea di Bachtin) è questa proprio la prova della straordinaria duttilità di questo genere, che resta un genere in divenire, un genere che si trasforma, che può acquistare fisionomie e aspetti diversi. Una volta fatte queste premesse siamo maggiormente in grado di capire l`Ortis.L`Ortis è un romanzo che anticipa il moderno, tant`è vero che è stato definito il primo romanzo moderno, perché racchiude in sé aspetti che sono legati alla modernità, ma anche aspetti che lo tengono ancorato al passato classico. Un elemento importantissimo che ne fa un romanzo già in senso moderno è l`irruzione del presente; infatti l`Ortis è un romanzo costituito sulla contemporaneità (elemento di cui aveva parlato Bachtin) e contiene l`elemento autobiografico (aspetto che aveva notato Asor Rosa). Inoltre Jacopo è un eroe ma non in senso antico, perché sceglie il suicidio (che nel mondo romano era considerato una virtù) come virtù laica in difesa dei valori individuati nel mondo classico. Un elemento che iene l`Ortis ancorato al passato, invece, è la mancanza di un`evoluzione del personaggio e della vicenda. L`incipit dell`Ortis, infatti, è un segno chiarissimo che ci troviamo di fronte ad una decisione già presa. Ancora, c`è chi ha parlato di quest`opera come un “monologo lirico”, e questo è un altro elemento che ancora questo romanzo al passato (ricordiamo, infatti, che Bachtin aveva affermato che il romanzo in chiave moderna doveva essere ordinato a prosa). L`Ortis, comunque, è un`opera aperta, su cui Foscolo tornò varie volte. Una prima traccia la possiamo trovare nel “Piano di studi” in cui Foscolo si propose di scrivere un`opera dal titolo “Laura, lettere” (1796). A Bologna, nella Repubblica Cispadana (nel 1798) in pieno triennio giacobino cominciò a scrivere quest`opera, ma fu interrotto dall`arrivo degli austro-russi, quindi fuggì da Bologna nel 1799 e lasciò sospeso il testo (aveva scritto solo 45 lettere). L`editore Marsigli chiamò Angelo Sassoli affidandogli il completamento del romanzo, che fu pubblicato con il titolo di “Vera storia di due amanti infelici”. Foscolo, irritato, dichiarò l`opera apocrifa e si risentì principalmente per due motivi: innanzitutto per il titolo, in quanto non aveva affatto in mente un romanzo d`amore, e poi perché la storia d`amore era per lui solo funzionale alla verifica e alla conferma della sconfitta politica subìta, non era assolutamente il tema centrale. Foscolo, dunque, disconosce pubblicamente l`opera sconfessando l`operazione del Marsili e parlando della revisione del Sassoli come di un “centone di follie romanzesche, di frasi adulterate e di annotazioni vigliacche”. Nel 1801 riprende da dove aveva interrotto e pubblica una prima edizione integrale, nel settembre del 1801 col titolo “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis”. Nel 1802, a Bologna, pubblica un`edizione più consistente, con nuove lettere, e ancora continua a rivedere il testo tant`è vero che nel 1816 a Zurigo pubblica un`altra edizione. In questa edizione, Foscolo pubblica una Notizia bibliografica che ci fornisce una fondamentale chiave di lettura, le circostanze del libro e la sua genesi. La redazione definitiva, con una revisione linguistica accurata, apparve a Londra nel 1817; dalla prima all` ultima edizione del romanzo, dunque, passano ben vent`anni.L`opera è una raccolta ordinata che Jacopo, alter ego dell`autore, invia all`amico Lorenzo Alderani (e ad altri personaggi) tra l`11 ottobre del 1797 al 25 marzo del 1799: l’elemento “motore” della vicenda è il Trattato di Campoformio che sarà firmato sei giorni dopo, il 17 ottobre 1797 e sancirà la cessione di Venezia all`Austria, segnando l`incrinatura definitiva dei sogni repubblicani del Foscolo. Foscolo, deluso dalla vicenda napoleonica, si rifugia sui Colli Euganei, si innamora di Teresa ed è ricambiato, ma il padre di Teresa per sanare le terribili condizioni economiche in cui verteva la famiglia intende darla in moglie al ricco Odoardo. Jacopo allora intraprende un viaggio (che però non fa evolvere in alcun modo la vicenda) per allontanarsi da Teresa. Questo viaggio è caratterizzato da varie soste, ed ogni sosta rappresenta un incontro che diviene pretesto di riflessione sulle condizioni dell`Italia: a Milano, ad es., incontra Parini, e nella lettera scritta da Ventimiglia troviamo una riflessione pessimistica sulla condizione umana. Quando Jacopo torna sui Colli Euganei, apprende che Teresa si è sposata con Odoardo e quindi si uccide.La struttura: l`Ortis è un romanzo epistolare in forma di lettere, rimanda ai modelli europei (Rousseau con la sua Nouvelle Heloise, e il Werther di Goethe); è presente un taglio autobiografico (come disse Asor Rosa) e addirittura il Foscolo mette insieme lettere che in gran parte ha realmente scritto. Il romanzo è la proiezione di una delusione personale, politica e soprattutto storica di un`intera generazione di intellettuali. Jacopo è l`alter ego di Foscolo, infatti se andiamo a prendere il suo epistolario notiamo che il Foscolo si firmava realmente col nome di Ortis e non solo, si firmava anche col nome di Lorenzo). Ci troviamo dinanzi a ciò che è stato definito da molti un “monologo lirico”, in quanto Foscolo si ispira a modelli lirici classici, addirittura Teresa è descritta con i versi del Petrarca. Lorenzo è un personaggio muto, non interviene, non interferisce, non condiziona lo sviluppo delle cose e della vicenda: mancano dunque il senso dell`intreccio, dell`azione, il romanzo è costruito su un personaggio unico (ritorna il concetto dell`io autobiografico). Una lettera da prendere come punto di riferimento come chiave di lettura per comprendere ed interpretare il romanzo è quella del 29 settembre del 1808: Foscolo scrive una lettera a Bartholdy, un diplomatico berlinese, antinapoleonico come lui, che aveva conosciuto a Milano e che aveva diffuso un tipo di letteratura di viaggio scrivendo un`opera dal titolo “Viaggio in Grecia”. Questa lettera nasce dalla notizia che un certo Kaulfuss voleva tradurre l`Ortis in tedesco e dà al Foscolo un pretesto per spiegare come gli è venuto in mente il romanzo. Egli scrive “il nucleo primitivo dell`Ortis è nato intorno al tema del suicidio e non intorno al tema della passione amorosa”. Il tutto parte da una vicenda in particolare: Jacopo Ortis, un giovane friulano studente dell`Università di Padova, si era ucciso con due pugnalate senza un`apparente ragione. Questo spinge Foscolo a meditare sul tema del suicidio e sul tema della morte violenta ma, da letterato molto colto qual era, collega questo concetto agli insegnamenti di Tacito, il quale aveva identificato come “ultima virtù possibile all`uomo romano sotto la tirannide dei cesari, quella di darsi una morte violenta”: Tacito era un autore molto conosciuto nella cultura rivoluzionaria e giacobina e Foscolo, dunque, trasferisce un fatto di cronaca in un fatto culturale, lo intellettualizza, intellettualizza il suicidio stesso. Il romanzo nasce come un “trattato sul suicidio”, però poi vedremo come Foscolo cambiò idea e decise, più che di sillogizzare (teorizzare, scrivere un trattato teorico) sul suicidio, di dipingere il suicidio.

LEZIONE DEL 20 MARZO PARTE 1 E 2

Lezione didattica 20 Marzo
Il disturbo di lettura, ovvero la dislessia.
Negli ultimi anni nelle scuole è subentrato un vocabolo che pian piano si è diffuso sempre di più: l’inclusione, che è molto di più di un semplice paradigma concettuale. Sono state infatti emanate una serie di leggi, un quadro molto delineato, e abbiamo anche molte responsabilità che vengono affidate all’insegnante curricolare.
Negli ultimi anni si è assistito ad un passaggio dal concetto di integrazione al concetto di inclusione.
Mentre l’integrazione si riferiva solamente ai soggetti disabili, a situazioni in cui era presente una disabilità o un handicap, l’inclusione fa riferimento a tutta quanta la popolazione scolastica.
L’integrazione, dal suo punto di vista, valutava il livello di integrazione di un’istituzione, di una società, di una tecnologia solamente attraverso il  “gap “ esistente fra le opportunità di azione offerte ad un soggetto normale e le opportunità di azione offerte ad un soggetto portatore di handicap.
Questo vuol dire praticamente, da un punto di vista dell’architettura,  che,  se un'aula si fosse trovata al terzo piano un soggetto normale l’avrebbe raggiunta normalmente, un soggetto Paraplegico in mancanza di una rampa non avrebbe potuto raggiungere l'aula. Parlo quindi di opportunità e quindi il soggetto disabile non aveva l’opportunità di salire in aula.
Questo significa che un soggetto con disabilità era escluso da una serie di opportunità di integrazione che invece venivano offerte ad un soggetto normale.
In questo senso si determinava un gap tra la normalità e la disabilità. La dimensione di questo gap era offerta proprio dal numero di opportunità che aveva un soggetto normale in relazione ad un soggetto disabile. Questo ovviamente si può verificare in ogni contesto, per esempio anche nelle tecnologie, un soggetto ipovedente o non vedente se va su un sito dove non vi è una sintesi vocale questo soggetto non potrà fruire delle informazioni presenti sul sito, avrà quindi un basso grado di integrazione
.
Con il tempo il concetto di integrazione è saltato completamente, nel senso che si è posto in luce come il concetto di “normalità” stesso non fosse definito; Effettivamente nessuno può dire che cosa sia normale e cosa non sia normale, ognuno, in quest’aula ha il suo stile cognitivo, il suo modo di ragionare, la sua storia, ha una serie di elementi che lo caratterizzano e agisce in relazione a questi elementi e il concetto di normalità diventa qualcosa di abbastanza sfumato, che può essere applicato nel caso della rampa, ma che diventa problematico appena ci si allontana dal livello fisico.
È subentrato in questo senso il concetto di “Inclusione”.
Questo concetto di inclusione è più vicino al nostro sistema di istruzione e formazione, il quale si propone di erogare, per tutti quanti gli studenti un percorso educativo, didattico e formativo individualizzato e personalizzato, nel rispetto quindi dell’individuo e della persona, cioè un percorso didattico che sia individuale, quindi  che permetta ai singoli individui di operare nel mondo , per essere futuri cittadini di domani, quindi avere delle competenze necessarie per operare all’interno della società del domani e personalizzato nel senso di “sposare” , per cosi dire, i punti di forza del singolo individuo. In questo senso l’inclusione si propone di valorizzare i punti di forza di ogni singolo individuo e le sue potenzialità e tentare di ovviare quanto più possibile ai suoi punti di debolezza. In questo senso non solo scompare il concetto di normalità, ma l’inclusione diventa un qualcosa che non riguarda più solamente un soggetto con disabilità, ma riguarda qualsiasi individuo, perché tanto bisogna valorizzare i punti di forza di un soggetto per così dire a sviluppo tipico, tanto quelli di un soggetto con ritardo nello sviluppo, tanto con soggetti con disabilità o disturbi, o con soggetti particolarmente bravi che vanno aiutati ad esprimere appieno tutte quante  le loro potenzialità.
Sulla base di questo mutamento c’è stata una sorta di rivoluzione di carattere normativo in ambito scolastico.
I primi effetti sono stati la determinazione, lo spostamento per cosi dire di quelli che oggi cadono sotto il nome di “disturbi specifici dell’apprendimento”, dagli insegnanti di sostegno all’insegnante curriculare. È l’insegnante curriculare che si prende in carico questi ragazzi con disturbi.
Mentre le disabilità psico-fisiche o portatori di disabilità rimangono a carico dell’insegnante di sostegno, una figura a sostegno di tutta quanta la classe, ma che si trova in classe per un determinato periodo di tempo per favorire, individualizzare e personalizzare la didattica a favore del soggetto portatore di handicap o disabilità.
La presa in carico dei soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento da parte dell’insegnante curriculare è stata determinata dalla legge 170 dell’8 Ottobre 2010, a cui sono seguite diverse direttive ministeriali che hanno esteso questo concetto e hanno esteso le misure dispensative che l’insegnante curriculare può adoperare in presenza di soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento a situazione di carattere anche non clinico, ovvero a situazione di svantaggio socio-economico o culturale. Questo significa che tutti i soggetti con italiano L2 o i soggetti di lingua straniera o tutti i soggetti con svantaggio sociale, tutti i soggetti con altri tipi di svantaggio, esempio anche un soggetto che ha una singola difficoltà in termini di apprendimento causato da una situazione temporale che può essere il divorzio dei genitori o una depressione indotta da una qualsiasi altra cosa di cui non si ha nessun tipo di certificazione medica, cosa che invece avviene sia per i PSA, sia per soggetti portatori di disabilità.
In linea generale queste tre categorie a cui ho fatto accenno adesso sono state inserite all’interno di una macro teoria, ovvero quella dei bisogni educativi speciali, BES, la quale è forse la più diretta emanazione del passaggio al paradigma dell’inclusione da parte del nostro sistema di formazione e di istruzione. Questa macro-categoria (BES) comprende al suo interno le tre sottocategorie (quella sei soggetti portatori di disabilità o minorati psicofisici, disturbi legati all’apprendimento  DSA e l’area dello svantaggio socio economico e culturale)  per cui è necessario avere una piena cognizione in relazione alla struttura.
Il tentativo è quello di innestare una didattica o un sistema di istruzione non generale, ma basati sul tentativo di favorire le potenzialità di ogni singolo individuo. In questi termini l’inclusione riguarda qualsiasi individuo, sia soggetti con disabilità, sia con disturbi, che soggetti particolarmente bravi in quanto è indipendente dalla singola patologia. In tutti questi casi  il sistema di istruzione e formazione garantisce un’educazione individualizzata e personalizzata che deve favorire lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo, quindi che sia tarata sul tentativo di fornire sulla base delle potenzialità del soggetto la trasmissione e l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze che permettano all’individuo di operare in autonomia all’interno della società e che valorizzino i punti di forza del singolo. In questi termini l’inclusione riguarda chiunque  e non riguarda più soltanto la disabilità. C’è stata una sorta di evoluzione dell’integrazione che ha portato a questa nuova visione che è onnicomprensiva che riguarda tanto l’insegnante di sostegno tanto l’insegnante  curriculare tanto il dirigente scolastico o la scuola come organismo complesso.
È necessario adesso suddividere i tre casi:
1 Caso di minorazione psicofisica. La presa in carico avviene da parte dell’insegnante di sostegno che è una figura specializzata che è  a sostegno della classe, attraverso la legge 104  viene attribuito al soggetto portatore di handicap una diagnosi e viene conferito l’insegnante di sostegno. Quest’ultimo è presente solo in determinate ore e potrebbe non essere presente per tutte le 18 ore. Per le restanti ore il soggetto disabile rimane a carico dell’insegnante curriculare. Gli strumenti attraverso cui opera l’insegnante di sostegno sono l’analisi o diagnosi funzionale  DF, che viene data dall’asl, il profilo dinamico funzionale( profilo dell’alunno, punti di forza e debolezza)  PDF, che è redatto insieme ad una equipe medica multidisciplinare dell’asl, infine l’insegnante e il gruppo di lavoro per l’handicap operativo(GLHO) per il soggetto disabile (famiglia, insegnante ecc), viene esteso il PEI, piano educativo individualizzato,  che determina gli obiettivi di apprendimento che il soggetto deve perseguire e la didattica che gli permetta, in base alle sue condizioni, di perseguire tali obiettivi e gli strumenti da utilizzare.
2 disturbi specifici dell’apprendimento: se ne prende carico l’insegnante curriculare, della classe, il quale per far  fronte a tale situazione può adoperare un Piano didattico personalizzato. Questo piano è una sorta di strumento simile, ma che presenta delle differenze sostanziali con il PEI. Il piano didattico personalizzato, dato che ci si riferisce a dei disturbi molto definiti, e che lasciano intatto il funzionamento intellettivo generale, è semplicemente una progettazione di una didattica personalizzata per  andare incontro alle esigenze di ogni singolo studente con DSA. Questo significa dire che sono previsti strumenti compensativi o dispensativi, ad esempio un soggetto con DSA può fare richiesta del 30% in più per le prove scritte, anche per gli esami di stato,  così come anche nei concorsi pubblici, perché ne ha diritto per legge, oppure strumenti compensativi quali le dispense ecc, per compensare appunto il suo deficit.
La differenza sostanziale fra il PEI e il PDP è che nel PEI l’insegnante può modificare gli obiettivi di apprendimento minimi, nel PDP questo non si può fare,. L’insegnante curriculare ha a disposizione soltanto la certificazione  medica della presenza del disturbo e sulla base di quella certificazione medica e la sua conoscenza del soggetto stende una programmazione didattica personalizzata, ovvero un iter didattico specifico per quel soggetto che sia in grado di ovviare alle difficoltà del soggetto e di arrivare esattamente agli stessi obiettivi di apprendimento di tutta quanta la classe. Si prevede solo un iter didattico differenziato in base a quella situazione.
3 Svantaggio socio-economico-culturale:  è stato previsto anche in questo caso  che l’insegnante curriculare, senza alcuna certificazione medica,  può mettere in atto un PDP, in modo che il soggetto possa superare le sue difficoltà transitorie  e raggiungere gli stessi obiettivi di apprendimento della classe. Esempi Sono soggetti stranieri, soggetti in una situazione di svantaggio e soggetti di altra difficoltà. La legge dice che il “collegio dei docenti”, che è un organo d’Istituto, è sovrano nell’attribuzione del PDP. Attraverso questo piano l’insegnante ha uno strumento abbastanza utile che gli consente di mettere in atto strategie di compensazione e misure dispensative che altrimenti non può mettere in atto in maniera ufficiale. Anche in questo caso il PDP deve essere accettato dalla famiglia, che se non firma vi può essere un contenzioso legale nei confronti della scuola.
Se la famiglia porta una certificazione medica e l’insegnante non lo prende in carico può essere denunciato, come anche l’istituto scolastico perché non è stata applicata la legge (del 2010).
Esistono anche organi diversi che si trovano all’interno della scuola, come sono i GLHO,.  

SONO STATE FATTE POI UNA SERIE DI DOMANDE ALLE QUALI IL DOCENTE  DA DELLE CHIARIFICAZIONI, MA SONO DELLE SEMPLICI RIPETIZIONI DI QUELLO CHE HA DETTO FINO AD ORA E QUINDI NON LE HO TRASCRITTE.

Andiamo a veder ora la differenza tra queste due situazioni a cui stiamo facendo riferimento, ovvero la categoria dei disturbi e quella degli svantaggi. Queste due categorie corrispondono ad altrettante due situazioni che potete trovare in classe, cioè una situazione di difficoltà ed una situazione di disturbo. Questi due termini hanno peculiarità differenti. La difficoltà è transitoria, cioè si riferisce ad un periodo delimitato di tempo, che può essere superato attraverso l’intervento didattico, ed è acquisita, nel senso che non è congenita, innata, e non è resistente all’automazione, significa che si può ovviare a tale situazione semplicemente con l’intervento didattico.
I disturbi, invece, fanno riferimento ad una situazione congenita, quindi presenti fin dalla nascita, insuperabile, quindi che non può essere completamente superata e che è resistente all’intervento di carattere didattico, resistente quindi all’automazione. Per cui l’intervento didattico deve essere accompagnato da un adeguato intervento terapeutico, altrimenti non si ottengono adeguati miglioramenti da parte del soggetto.
In particolare esaminando la locuzione “Disturbi specifici dell’apprendimento” possiamo dire che sono una particolare tipologia di disturbi, quindi entità cliniche, che vanno ad intaccare un dominio altrettanto specifico, che è quello dell’apprendimento; cioè fanno riferimento ad attività e competenze che devono essere apprese in un modo o in un altro. Si sa che ogni individuo ha della abilità naturali, parlare, camminare o altre abilità che fanno parte del naturale sviluppo dell’individuo, mentre invece i disturbi specifici dell’apprendimento si riferiscono ad abilità scolastiche che necessitano di essere apprese, ovvero lettura, scrittura e calcolo. Queste tre abilità, se non vengono apprese, non vengono sviluppate in modo adeguato da parte dell’individuo.
Quindi ricapitolando questi disturbi fanno riferimento sia a disturbi di situazioni innate, resistenti all’automazione, che vanno ad intaccare il dominio dell’apprendimento, e quindi l’apprendimento di specifiche competenze scolastiche come lettura, scrittura e calcolo, le quali non si maturano se non in presenza di un adeguato intervento didattico, possono essere apprese sia da autodidatta, sia con l’insegnamento. In un modo o in un altro devono essere apprese perché non fanno parte del naturale sviluppo.
I DSA sulla base della legge 170 comprendono Dislessia, ovvero disturbo della lettura, dal greco Dius- Lessia (non lettura), la dis- grafia, Dius-grafia, ovvero la produzione di grafia illeggibile, la dis-ortografia, la non corretta scrittura, che si manifesta in una produzione sgrammaticata per cosi dire, una scrittura non corretta, e la dis-calcolia, ovvero dius- calcolia, non calcolo, quindi un disturbo delle competenze del calcolo del singolo individuo. Questi quattro disturbi fanno riferimento alle tre abilità: lettura, scrittura e calcolo, che rappresentano uno degli obiettivi minimi e primari del nostro sistema di istruzione.
Dislessia, disturbo nella lettura e le relative metodologie attualmente diffuse.




 Questi disturbi sono insuperabili e congeniti, quindi presenti fin dalla nascita e fanno riferimento a 4 disturbi specifici che intaccano abilità scolastiche di lettura, scrittura e calcolo, e queste abilità sono competenze che necessitano di essere acquisite e non fanno parte del naturale sviluppo della persona.
I criteri per l’individuazione di un DSA, perché un soggetto sia diagnosticato come DSA, devono essere presenti 4 requisiti:
1.       un QI nella norma o al di sopra della norma, quindi dalla media in su. In caso di soggetto con QI al di sotto della norma si tratta di situazioni cognitive borderline o di ritardo mentale, quindi una eventuale difficoltà in quelle competenze è attribuibile al fatto di avere un QI al di sotto della norma. Questi disturbi intaccano specifiche competenze di lettura, scrittura e calcolo, ma lasciano integre le competenze cognitive generali, come sostenuto dallo stesso Giacomo Stella, ex presidente dell’associazione italiana dislessia;
2.       non presentano danni neurali che possano da soli spiegare le difficoltà presentate, quindi non devono essere presenti danni o lesioni di carattere cerebrale;
3.       abbiano ricevuto adeguate opportunità scolastiche e culturali, per l’acquisizione delle competenze scolastiche;
4.       il disturbo deve essere permanente per almeno 6 mesi prima che si possa fare diagnosi.
Se sono presenti questi 4 requisiti, e il soggetto mostra delle difficoltà specifiche in queste tre competenze, lettura, scrittura e calcolo, allora è possibile che sia presente un DSA.

Tutto ciò impatta in modo particolare sulla didattica.
Nei materiali aggiuntivi (dati dal prof) c’è un articolo che paragona il metodo globale al metodo alfabetico ai metodi analitici in generale per l’avvio alle competenze di lettura nella scuola primaria.
Il metodo globale è una metodologia didattica che è stata per lungo tempo sostenuto dall’associazione internazionale per la lettura, ancora diffuso nelle nostre scuole, anche se la letteratura scientifica e le ricerche hanno dimostrato che quel metodo si basa su affermazioni false e produce effetti problematici in presenza di soggetti DSA o con soggetti con ritardi nello sviluppo. In particolare l’assunto di questo metodo è che la lettura non sia altro che l’estensione dell’eloquio, quindi delle competenze linguistiche del soggetto, e che l’insegnante della scuola primaria debba innestare la sua didattica sulle competenze pregresse dell’eloquio e delle competenze fonologiche pregresse del soggetto al fine di garantirne l’acquisizione della lettura, quasi come se la lettura fosse un’estensione delle nostre capacità linguistiche. Per fare questo il metodo globale sconsiglia di spezzettare in unità minime ed astratte il linguaggio naturale, come possono essere alfabeto, fonemi che sono le unità minime della lingua orale e i grafemi che sono le unità minime della lingua scritta, perché così si perderebbe di vista quello che è il senso naturale del linguaggio scritto, cioè le potenzialità in termini di comunicazione. E, in questo senso, si determinano delle difficoltà nell’acquisizione delle competenze di lettura, perché questa non viene vista più come una competenza naturale ma artificiosa, che si tende ad insegnare e non rappresenta un’estensione delle competenze naturali del soggetto.
In questo senso, quello che suggerisce il metodo globale (suggerimenti spesso ancora validi), è, per esempio, di inserire il soggetto in un ambiente ricco di scritte, per stimolare la sua curiosità: assunto principale di questo metodo, infatti, è che un individuo impara a parlare perché immerso in un ambiente di persone che parlano, quindi esposto al linguaggio orale. Similmente bisognerebbe riempire l’ambiente di linguaggio scritto, partire dalle competenze del soggetto e fare in modo che il bambino acquisisca la lettura in modo naturale attraverso prove ed errori, così come fa con le competenze verbali e fonologiche. In questo senso il focus dell’attenzione è sulle competenze pregresse del soggetto e sulle frasi nel loro insieme, e su una metodologia di acquisizione delle competenze di lettura basate su prove ed errori. Si chiede al soggetto di tirare ad indovinare le parole. Gli step sono vari, ad esempio, nel primo anno della scuola primaria, l’insegnante legge coi bambini una storia, chiede poi a i bambini di disegnare una figura, dopodiché dice i nomi delle figure che sono state disegnate e chiede ai bambini di scrivere, apparentemente senza nessuna forma di istruzione o avviamento a lettura e scrittura, le parole che caratterizzano la figura disegnata. Dopo legge quello che è stato scritto dai bambini e fa notare se sono stati commessi o meno degli errori, sottolineando come gli errori siano ben accetti, come a dare valore al detto che sbagliare è umano.
In realtà, come abbiamo avuto modo di vedere, la lettura non può essere considerata una abilità naturale.
In un approccio del genere si tende a favorire una naturalezza che in realtà non esiste.
La competenza di lettura, infatti è una competenza molto complessa, che fa ricorso a numerose abilità cognitive cui l’individuo fa ricorso per mettere in pratica per sviluppare ed acquisire questa competenza. Un avviamento del genere, senza palesare il legame alfabetico tra i grafemi e i fonemi corrispondenti, corre il rischio di nuocere ai soggetti. In realtà questo legame viene stabilità in autonomia dal 70% dei bambini che arrivano alla prima classe.  Ma quando si ci trova di fronte ad un DSA o ad una situazione di normale disagio dello sviluppo, ovvero una variazione, in termini di tempo dell’acquisizione delle competenze scritte e delle competenze scolastiche, una situazione di assoluta normalità, perché ognuno ha dei tempi di funzionamento differenti. Quando ci sono situazioni di questo tipo è possibile che il legame grafema fonema, o la struttura alfabetica delle parole o che le competenze fonetiche del soggetto non siano adeguatamente sviluppate. In questo caso, utilizzando il metodo globale, si corre il rischio di arrecare dei danni in termini di acquisizione di competenza di lettura ai bambini, nel senso che i danni fatti si mostrano dopo e sono permanenti. Siccome quello che viene richiesto di fare è una didattica inclusiva, cioè una didattica che sia capace di sviluppare le potenzialità di ogni singolo individuo, la metodologia da mettere in atto è una metodologia che non nuoce a nessuno.
Il metodo analitico, o quello alfabetico, o tutti quelli sublessicali, si basano sul tentativo di rendere esplicito il legame alfabetico tra grafemi e fonemi e sul tentativo di rafforzare le competenze di segmentazione fonetica e sillabica degli studenti durante il loro periodo di avvio a scrittura e lettura; ciò significa dire di lavorare molto sulla struttura interna di una parola sia scritta che orale, in termini di segmentazione dei suoni e dei fonemi che compongono la parola, in modo da rendere questi legami efficienti e di veicolare il soggetto alla comprensione delle informazioni metalinguistiche che caratterizzano il linguaggio italiano. Cioè il fatto che sia il linguaggio scritto che orale è caratterizzato da elementi minimi, i grafemi e i fonemi, che si mescolano insieme in sequenze specifiche per costituire tutte le parole possibili del vocabolario e in seguito per costituire frasi o espressioni o testi via via più complessi, ma sono sempre gli stessi elementi che vengono rimescolati; sono i mattoncini fondamentali del linguaggio scritto o orale.
Il metodo alfabetico, benchè più lento, raggiunge gli stessi risultati del metodo globale, ma toccando tutti.
Tutto ciò è spiegato più dettagliatamente nei materiali aggiuntivi consigliati.


DEFINIZIONE DEL DISTURBO DI LETTURA: DISLESSIA
La definizione non solo fa da ponte per l’introduzione di alcune metodologie didattiche e tecnologie specifiche, ma anche perché ci dà informazioni importanti in relazione alle attività cognitive coinvolte nel processo di lettura, e quindi su come ad andare ad agire su di esse al fine di ottenere dei risultati in termini di lettura a seconda delle diverse situazioni che ci troviamo di fronte.
La definizione data dalla legge 170 è: disturbo specifico che si manifesta in una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici ovvero nella correttezza e nella rapidità di lettura.
La lettura può essere suddivisa in due dimensioni: della comprensione, della fluenza di lettura o capacità di codifica. E la lettura strumentale può essere valutata secondo due parametri: rapidità e accuratezza, che è esattamente quello a cui si riferisce la legge, che ci dice come la dislessia è definita come una difficoltà del soggetto, rispetto ai suoi pari, nella fluenza di lettura, ovvero in rapidità ed accuratezza.
È un disturbo che va ad intaccare, in primis, la lettura di carattere strumentale, la capacità di decifrazione dei segni linguistici e il loro matching coi fonemi corrispondenti. In particolare la legge 170 dispone che le istituzioni scolastiche si avvalorino di una didattica personalizzate che tenga conto del benessere del soggetto e favorisce, per quanto possibile, lo sviluppo della capacità di lettura. La letteratura scientifica, al contrario, dice che bisogna diminuire le consegne scritte e diminuire e dispensare dalle attività di lettura. La domanda è: come intervenire viste le indicazioni discordanti? La letteratura scientifica suggerisce di utilizzare due metodologie didattiche: una inclusiva, per tutta la classe, come i metodi alfabetici, o analitici o sublessicali, e forme e metodologie di didattica indirette, che ottengono dei miglioramenti dell’attività di lettura, senza prevedere lettura. L’idea di base è quella di influire sullo sviluppo delle competenze cognitive coinvolte, per avere, a cascata miglioramento delle competenze di lettura. Per esempio se un soggetto con dislessia ha difficoltà fonologiche al posto di farlo leggere faccio esercizi orali con tutta la classe, come previsti nel metodo alfabetico, relativi alla segmentazione in fonemi delle parole e delle frasi, dopodiché un migliore sviluppo della competenza fonologica porta, in modo indiretto, a cascata ad un miglioramento in termini di lettura. In questo senso posso fare una didattica di potenziamento volta ad ottenere risultati indiretti in termini di lettura. Cioè favorisco lo sviluppo delle aree cognitive che sono intaccate o dei punti di forza del soggetto affinchè questo possa riversarsi nel miglioramento della competenza di lettura strumentale.
la dislessia è un disturbo della lettura strumentale, ovvero una carenza di fluenza di lettura, quindi da una rapidità sotto la norma e da un’accuratezza sotto la norma, significativamente differente dai suoi pari.
Disturbo dell’automazione del meccanismo di matching tra grafema e fonema, che permette di riconoscere una lettera ad un suono. La letteratura indica, come la dislessia sia un disturbo che incide sia sul riconoscimento delle lettere sia nella loro conversione nel fonema corrispondente. In questo senso, intaccando questa via di sviluppo, a cascata, tutta l’evoluzione della competenza di lettura. Per questo è necessario intervenire su questo tipo di disturbo soprattutto nella scuola primaria, per ovviare alcuni sintomi.

Facciamo ulteriore chiarezza perché è stato detto che questo disturbo è insuperabile, innato, intacca il meccanismo di conversione grafema fonema rendendo più difficile lo sviluppo della via diretta; in realtà esiste un periodo di tempo nel quale l’intervento didattico può essere così efficace da ricondurre la performance del soggetto in termini di rapidità e accuratezza, all’interno di una prestazione normale. Questo periodo, chiamato la finestra evolutiva, che caratterizza tutti i DSA, in termini di finestra temporale diversa, e va dalla fine del II anno della scuola primaria, cioè periodo in cui viene emessa la diagnosi, perché prima non può essere emessa, fino al termine del III anno della scuola secondaria di primo grado (III media). In questo periodo di tempo è possibile agire, dal punto di vista didattico e terapeutico, in modo tale da ricondurre i sintomi relativi ad una mancanza di lettura fluente del soggetto, quindi di rapidità e accuratezza, all’interno della norma. Da questo susseguono due affermazioni di base:

  •           il ruolo dei docenti in relazione ai disturbi cambia a seconda del grado scolastico in cui si va ad operare. Perché mentre l’insegnante della scuola secondaria di secondo grado avrà una didattica che si focalizzerà principalmente sul garantire l’accesso all’informazione da parte del soggetto, quindi nel trovare delle vie alternative di comunicazione. La cosa cambia nella scuola dell’infanzia, perché non posso essere certo che esistano tali problemi, quello che si può fare è individuare situazioni potenziali di rischio e agire suggerendo la logopedia, o anche la psicomotricità e tentare di attenuare gli eventuali sintomi di futuri disturbi, con la piena coscienza che se è dislessia, dislessia sarà. Il docente della scuola primaria o della scuola secondaria di primo grado, avrà il ruolo non solo di garantire l’accesso all’informazione, ma di avviare, per quanto possibile, lo sviluppo della competenza di lettura, perché in questo periodo di tempo l’intervento didattico è particolarmente efficace, in base alla finestra evolutiva. È stato testato che l’intervento didattico e terapeutico nelle scuole superiori, ottiene un’efficacia molto minore rispetto a quello che si può portare avanti alle scuole elementari e medie.
  •     Periodo di emissione della diagnosi è al termine della II elementare e non relativa all’età biologica come, per esempio, nel caso dell’autismo. Il riferimento alla classe è perché la lettura va acquisita, appresa e, mediamente, al termine della II elementare tale competenza è abbastanza sviluppata da poter essere valutata. Ed è per questo che, seppure il disturbo sia presente fin dalla nascita, valutarne la presenza prima di questo periodo diventa complesso. Esistono anche dei segni premonitori, degli indici della presenza del disturbo, che sono difficoltà nella seriazione, cioè difficoltà nell’acquisire e memorizzare serie di numeri e concetti come mesi dell’anno o giorni della settimana; goffaggine e disturbi del movimento, gestione dello spazio in generale, come difficoltà nell’allacciarsi le scarpe, difficoltà nel gestire il materiale di studio per prepararsi la cartella, difficoltà nello gestire gli spazi personali, etc. ma, finchè non si raggiunge questa specifica classe scolastica, la diagnosi non può essere emessa, perché solo in questo momento quella competenza può essere valutabile e sulla base della valutazione verificare se quella competenza ha un livello di sviluppo normale o al di sotto della norma, o patologico o anche al di sopra della norma.
Un altro motivo per cui non è possibile effettuare diagnosi prima della fine della II elementare è anche perché potrebbe trattarsi, fino a questo momento, di naturali ritardi dello sviluppo, ovvero il soggetto potrebbe trovarsi nella condizione di avere necessità di un tempo più prolungato per l’acquisizione di alcune abilità e competenze, periodo di tempo superato il quale il soggetto non ha alcun disturbo, è un normo-lettore, ma aveva necessità di tempi differenti rispetto alla media della popolazione scolastica.

Un altro ruolo importante dell’insegnante della scuola primaria, oltre che quello di favorire lo sviluppo della competenza di lettura, come presente anche all’interno delle finalità della legge 170, è quello di individuare anche situazioni “potenzialmente a rischio di”, il che significa che si dovrebbe, sulla base di test da somministrare all’inizio e alla fine dell’anno scolastico, come ingresso e uscita dell’anno scolastico, o sulla base della propria esperienza personale, individuare una situazione potenzialmente a rischio di lettura, suggerire alla famiglia una visita all’ASL, e vedere se questa rimanda indietro una diagnosi di dislessia. Ai docenti della scuola primaria, quindi è affidata una grande responsabilità che va dal monitoraggio e screening, fino all’intervento didattico adeguato da predisporre per il bambino.
L’importanza dell’individuazione precoce è assoluta in questi contesti perché, a causa della finestra evolutiva, ritardare la diagnosi, e quindi la predisposizione dell’intervento terapeutico e didattico appositamente tarato, anche solo di due anni, quindi individuare il soggetto in V elementare, piuttosto che al termine della II, fa perdere al soggetto 2 anni di potenziale sviluppo che non può essere riacquisito nel corso della scuola media.

Un altro elemento di base della dislessia è che il disturbo intacca la competenza del soggetto in termini di fluenza di lettura, ma non intacca la comprensione della lettura, almeno come deficit primario. Nel senso che, spesso, il disturbo di lettura, in base alla gravità, spesso può intaccare anche la comprensione del testo da parte dello studente. Il mancato accesso al contenuto semantico del testo in caso di dislessia, non è dovuto alla dislessia stessa, ma è un’effetto a cascata, nel senso che una lettura particolarmente lenta e ferraginosa e la necessità di concentrare la propria attenzione sull’attività di decodifica del testo fa in modo che il soggetto impieghi più tempo a leggere e quindi porta ad un sovraccarico della memoria di lavoro, inoltre assorbe le risorse attentive del soggetto impedendogli di concentrarsi sul contenuto semantico del testo che sta leggendo. In questi termini, spesso, la dislessia si accompagna ad un mancato accesso della comprensione del testo. Questo mancato accesso è determinato dall’effetto primario, cioè dall’effetto primario, cioè  dall’intaccamento del meccanismo di matching grafema fonema e non dalla dislessia stessa: impiego più tempo -> mi costa più fatica-> non riesco a comprendere. Non perché il mancato accesso al contenuto semantico del testo sia causato direttamente dalla dislessia. Ciò significa che se si favorisce la rapidità e l’accuratezza della lettura, automaticamente la fluenza di lettura si porta dietro una migliore comprensione di quello che viene letto, quindi il soggetto diventa più autonomo. In mancanza di ciò si hanno una serie ulteriore di problematiche, infatti è stato dimostrato che la capacità e la fluenza di lettura nei primi anni, in condizioni anche di normalità, va ad incidere sullo sviluppo dell’autostima del bambino, nel senso che un bambino che vede gli altri che leggono bene e lui legge più lentamente, anche in una condizione di normalità di sviluppo, incide negativamente sulla sua autostima; in una condizione in cui è presente il disturbo, e lo stesso non è identificato come tale e trattato adeguatamente, questo finirà con l’incidere in modo certo sullo sviluppo dei sensi di autostima e di autoefficacia del soggetto. Ciò porta ad una serie di ulteriori problematiche: un soggetto con un disturbo del genere che si vede carente rispetto ai suoi pari, perché legge più lentamente e non riesce a comprendere perfettamente quello che legge, sarà portato non solo ad un rifiuto verso l’ambiente scolastico, ma sarà portato anche ad avere una scarsa stima di sé, ad essere aggressivo, e ad esporsi il meno possibile a situazioni di valutazione o di rischio nel quale dovrà testare se stesso. L’esporsi il meno possibile alle situazioni di valutazione lo porteranno a fare meno esperienza, questo lo porterà ad avere ancora meno competenze e abilità nelle prove valutative, o di lettura, o di gestione dei rapporti coi pari, etc, il che lo porterà, a sua volta, ad esporsi sempre meno a queste situazioni, come una sorta di circolo vizioso che finisce col determinare delle situazioni molto problematiche e che pesa in modo gravoso sul soggetto, fino ad arrivare a delle condizioni quasi di invalidità. Questo disturbo, più degli altri, non è una patologia infatti non prevede il sostegno, ma, se non viene trattato tempestivamente ed accuratamente, finisce con l’essere invalidante per il soggetto. Ciò avviene soprattutto quando la dislessia si manifesta nelle sue forme moderate o gravi.

Andando a definire ancora di più il disturbo di lettura, esso è stato suddiviso in due grandi categorie di disturbo:
  • 1.       Evolutiva, che fa parte dei DSA, congenita, perché evolve insieme al soggetto, ad elementi di natura biologica e culturale.
  • 2.       Acquisita, che subentra in seguito ai danni cerebrali e patologie che possono portare al manifestarsi di una difficoltà di fluenza di lettura. Non viene diagnosticata come DSA perché non presente dalla nascita ma dovuta a patologia o incidente o lesioni che hanno intaccato determinate aree cerebrali. La presa in carico è dell’insegnante di sostegno e non di quello curricolare
Queste due tipologie di dislessia possono essere:
  • 1.       Dislessia di superficie: indichiamo una dislessia che è a carico della competenza ortografica del soggetto, cioè legge male alcune parole, fa confusione tra parole che si scrivono in un modo e si pronunciano in un altro.
  • 2.       Dislessia fonologica: dovute ad un basso sviluppo delle competenze fonologiche a carico del soggetto, che tende a commettere una serie di errori in fase di lettura, confusione tra fonemi, inversioni sillabiche, etc
  • 3.       Dislessia mista: mescola insieme queste due tipologie.
Normalmente si ha a che fare sempre con la dislessia mista.
La dislessia può presentarsi con profili diversi, quindi diverso grado di coinvolgimento delle capacità di lettura del soggetto:
·         Lieve
·         Medio-lieve
·         Medio
·         Medio-grave
·         Grave
Quanto più il soggetto ha una lettura poco fluente tanto più la dislessia è grave e quindi invalidante.

LEZIONE DEL 16 MARZO parte 1


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Attraverso Bachtin e il suo libro fondamentale è l’Epos e romanzo e già dal titolo si ricava la posizione di B. Per il quale si tratta di due generi che sono nettamente contrapposti una cosa è l’epos e un'altra cosa è il romanzo. Abbiamo visto quale sono secondo Bachtin gli elementi che servono a connotare il genere. Sappiamo che Bachtin non va alla ricerca di un canone o di una regola  perché ,appunto, è un genere in divenire, aperto che non può essere regolamentato ,non possono essere individuate regole ma solamente elementi connotativi,quindi no regole perché la regola scritta chiude ,e in questo caso noi non possiamo chiudere perché parliamo di un genere aperto ma solamente individuare appunto questi elementi connotativi.
Abbiamo parlato della tridimensionalità stilistica che rappresenta alla coscienza plurilinguistica del romanzo, nel senso che hanno queste lingue che si mescolano,si incontrano,che si scontrano all’interno del romanzo perché è un senso diverso rispetto alla coesistenza di lingue della tradizione e anche nella stessa commedia , in alcuni esempi della commedia del 500 dove il plurilinguismo esisteva ,perché esisteva appunto il ricorso al dialetto ,al gergo e al latino che aveva una certa funzione,però appunto quest’insieme di lingue aveva un valore strumentale cioè era finalizzato a produrre effetti comici . Invece in questo caso noi ci troviamo di fronte a lingue che hanno un rapporto di interrelazione,  quindi è la lingua irrelata e che ha un valore funzionale ,non più strumentale lo spagnolo usato nei promessi sposi serve a dare una connotazione precisa dell’epoca e del valore culturale e sociale che sta dietro a questo romanzo.
Per quanto riguarda poi  la seconda peculiarità abbiamo visto che è fondata sul concetto di tempo quindi si rompe la distanza epica assoluta,mentre appunto l’epica era fondata sul concetto del passato eroico, quindi un passato lontano chiuso proprio da eroi che erano a loro volta chiusi non suscettibili al miglioramento perché erano già perfetti il contrario è nel romanzo perché nel romanzo abbiamo l’irruzione del presente e il personaggio che contiene il positivo e il negativo cosi come è Renzo nei Promessi Sposi.
Ai fini dell’identificazione di questo genere è proprio l’individuazione dei caratteri distinguibili del romanzo quindi rispetto a quello che ha detto Bachtin allora noi per contrapposizione possiamo ricavare i caratteri distintivi del romanzo.
Bachtin ha giocato su questo discorso del rapporto tra passato e presente tra l’eroe e il personaggio aperto quindi noi sulla base delle indicazioni di Bachtin possiamo ricavare questi caratteri distintivi del romanzo che ci servono per leggere poi sia L’Ortis ,sia i Promessi sposi e sia le confessioni di un italiano.
Quindi L’irruzione del presente è il primo elemento distintivo del romanzo   
l’elemento utopico è appunto il percorso del personaggio all’interno del romanzo che va alla ricerca di un cambiamento di una trasformazione quindi questo elemento utopico è completamente assente nell’Epos
poi ancora la presenza dell’io autobiografico che si può celare,che può essere diretto o indiretto naturalmente può essere sia un romanzo in 1 persona così come accade nel romanzo epistolare di Foscolo, ci troviamo di fronte ad un romanzo in 1 persona perché ci sono lettere come vedremo effettivamente poi scritte e si sono scambiate tra personaggio Jacopo e l’amico Lorenzo .
nel romanzo ad esempio, per scendere nel particolare l’elemento autobiografico o si esprime in 1 persona o si esprime attraverso un personaggio che è delegato a rappresentare appunto la voce dell’autore.
Nei  promessi sposi per esempio Manzoni nel momento in cui ricorre alla finzione del manoscritto ,sancisse l’ingresso di se ,autore del proemio che diventa in questo caso personaggio tra i personaggi che diventa appunto in questa finzione che è espressa nel proemio del romanzo in cui dice che ha trovato il manoscritto diventa personaggio tra i personaggi. Quindi con l’Invenzione del ritrovamento del manoscritto non solo sancisse l’ingresso dell’io autore  nel personaggio (questo è un elemento connotativo del romanzo in senso moderno) ma nello stesso tempo diventa personaggio tra i personaggi ,quindi in sostanza a differenza che nell’epos lo scrittore è in perfetto contatto con il presente incompiuto perché il presente ovviamente non è compiuto ,solamente il passato è compiuto ,il presente non è compiuto perché è proiettato verso un futuro,quindi per il fatto stesso che è proiettato verso è il futuro è chiaro che il presente è incompiuto. Quindi l’autore è in contatto perpetuo con il presente incompiuto quindi in sostanza si ha la rottura della distanza epica assoluta da quella che invece serviva prima a connotare e a caratterizzare l’epos      
Per quanto riguarda la nozione di contemporaneità  dobbiamo stare attenti perché quando Bachtin  parla di contemporaneità l’autore contemporaneo e quindi il contatto con il presente cosa intendiamo?
In sostanza il presente non solamente il presente di oggi ma anche il presente dell’autore del passato per esempio,della Ciropedia di Senofonte secondo Bachtin la Ciropedia   di Senofonte è un esempio di romanzo perché comunque c’è il contatto con il presente perché comunque nella Ciropedia  Senofonte tiene conto del contemporaneo quindi porta nella sua scrittura il contemporaneo,quindi in sostanza dice Bachtin che la contemporaneità non esclude la raffigurazione del passato quanto questo passato riguarda il presente dell’autore. Quindi è una questione di contemporaneità che non è solamente una contemporaneità che si consuma nel presente ma in qualsiasi opera anche  nel passato che include il presente si  include il contemporaneo è chiaro che ci troviamo di fronte ad un esempio di scrittura romanzesca naturalmente perché prefigura l’irruzione del presente quindi la considerazione del contemporaneo ,quindi ecco perché Bachtin reputa la Ciropedia una sorta di romanzo nel senso sostanziale del termine perché il protagonista è il grande Ciro ma il punto di partenza è il presente di Senofonte quindi Senofonte porta sulla scena il suo presente quindi è chiaro che anche se si tratta di un’ opera del  passato per Bachtin è un esempio di romanzo perché l’irruzione del presente è un elemento connotativo del genere quindi che rompe quella distanze epica assoluta quel concetto di passato chiuso che è la prerogativa dell’epos.
Quindi elemento centrale del romanzo è l’irruzione del presente intesa da B. per il presente come perennemente incompiuto e aperto verso il futuro. In sostanza la cosa importante che cambia nel romanzo il modello temporale del mondo. Mentre nell’epica abbiamo un prima che è assoluto il mondo degli inizia il mondo del prima che è un mondo assoluto,un mondo definito chiuso e circoscritto , nel romanzo l’ultima parola dice Bachtin, non ancora detta non ancora pronunciata è aperta verso il futuro. Quindi questa è la differenza sostanziale mentre l’epos si costruisce su un passato ormai chiuso che non ha più niente da aggiungere,perché è chiuso è  perfetto invece è aperto verso il futuro e quindi in sostanza l’ultima parola è una parola non ancora detta non si può esprimere in senso assoluto perché è  un genere che cambia in continuazione che è perennemente in divenire. quindi in sostanza il tempo è centrale nell’identificazione dei caratteri del romanzo,che si poggia  sul ribaltamento del concetto di tempo .quindi non è più il tempo del passato ma il tempo del presente.
Nel romanzo il tempo si manifesta come divenire,questa è l’indicazione interessante che ci da Bachtin,tutta la distinzione tra epos e romanzo si fonda sul ribaltamento del concetto di tempo ,mentre nell’epos il tempo è un concetto chiuso uguale a se stesso qui il tempo si configura come divenire come trasformazione come presente incompiuto .se io dico presente incompiuto dico divenire quindi il tempo si configura come divenire .in sostanza il romanzo pone anche dice Bachtin in termini nuovi il problema strutturale cioè dell’inizio e della fine . Perché il romanzo pone in termine nuovi questo problema strutturale dell’inizio e della fine? Perché l’epica non ha ne un inizio obbligato e ne una fine nel senso del romanzo . l’Iliade per esempio è una sezione staccata del ciclo troiano e la cosa importante la morte di Ettore(di solito nel romanzo la morte rappresenta una sorta di conclusione ) non è la conclusione di un intreccio,quindi non ce un  inizio e una fine ma sono tutte storie che hanno una loro compiutezza e non prevedono una trasformazione e quindi non prevedono un inizio e una fine in sostanza Bachtin dice che l’interesse per il seguito l’interesse per che cosa verrà dopo ,il desiderio di sapere come si svolge e come va a finire non è un desiderio che ci può venire di fronte ad un poema epico il desiderio di sapere come va a finire una storia ci viene di fronte ad una storia romanzesca cioè una storia che evolve e quindi noi siamo curiosi di sapere questa storia come va a finire.
In sostanza l’interesse specifico per il seguito cosa verrà dopo ,come si evolve quella storia è l’interesse per la fine per la conclusione,sono estranee all’epica non sono connotativi dell’epica essi riguardano esclusivamente il romanzo ed è possibile quest’interesse solo nella zone del contatto con il presente in questa zona del contatto con il presente nasce l’interesse per come va a finire questa storia per come si svolge per come si evolve in questo senso abbiamo anche la suspance che ovviamente è un elemento del romanzo questo non è un elemento che noi troviamo nella narrazione epica, ma è in certi tipo di romanzo costruiti intorno alla suspance che diventa elemento centrale, e quindi ancora una volta abbiamo un indicazione preziosa che ci serve come metro di riferimento per capire che tipo di romanzo abbiamo di fronte anche sulla basse della suspance, l’epos invece si fonda sul Noto non ci può essere suspance perche? Perché nell’epica tutto  è già noto,tutto già è compiuto tutto già è perfetto e quando tutto è noto non c’è suspance , la suspance c’è quando c’è qualcosa che non si sa e quindi c’è l’attesa che può succedere una cosa o un ‘altra, ecco perché il romanzo apre verso il futuro e stimola osservazione,riflessioni e risposte interrogativi ecco perché Bachtin parla di un romanzo aperto di un romanzo in divenire che si contrappone in maniera assoluta all’epos . sono due cose completamente diverse. Quindi non più il romanzo  come moderna epopea borghese come era stato detto per trasformazione dell’epos in senso borghese, ma qui Bachtin ribalta di 360 gradi la posizione Hegeliana dicendo che ci troviamo di fronte a due generi contrapposti completamente diversi l’uno dall’altra. Il romanzo dice Bachtin può anche essere privo di problematicità, non è detto che debba essere problematico che debba suscitare interrogativi per esempio nel caso del romanzo d’avventura nel romanzo di consumo sono romanzi e in questi romanzi la zona di contatto con il presente che è l’elemento chiave per capire che ci troviamo di fronte ad un romanzo, è garantita in questo modo: sono romanzo di consumo sono romanzi di avventura ma sono romanzi di tipo descrittivo privi di problematicità, ovviamente esistono tanti tipi di romanzo però comunque sono romanzi perché in questi romanzi  d’avventura nati nel corso dell’800, le storie e gli Intrecci sono nati come surrogati,nella vita non vissuta dal lettore. Quindi in sostanza scatta un  processo di immedesimazione,nell’avventura di quel personaggio in pratica serve per compensare desideri da parte del lettore, e scatta un processo di immedesimazione per cui il lettore immedesimandosi nella vita di quel personaggio che sta vivendo quell’avventura si riscatta dalla noia dalla routine della vita quotidiana e dalle frustrazioni patite e trova una compensazione della avventure che sono descritte in questo tipo di narrativa anche se manca di problematicità. È appunto questo processo di immedesimazione,dice  Bachtin che scatta tra il lettore e il protagonista di queste avventure che garantisce il contatto con il presente che è assente nell’epos,ecco perché abbiamo avuto il fenomeno del romanzo storico di consumo , dopo il successo dei promessi sposi c’è stata una vera è propria esplosione di romanzi storici che sono comunque romanzi che offrono attraverso situazione e personaggi avventurosi al lettore forme di compensazione, e modelli compensativi. Allora per concludere l’indicazione di Bachtin l’uomo dell’epica è l’uomo del passato assoluto e come tale è un essere compiuto è un essere concluso e l’uomo dell’epica è calato dentro a d un destino già prestabilito tutto quello che fa già è prestabilito,l’uomo dell’epica deve attraversare quelle vicende e già si sa come si svolge l’avventura e la storia all’interno dell’epos .l’uomo epico è portatore di destini ma non di verità. Cosa che troviamo nel romanzo. I personaggi del romanzo proprio perché sono problematici proprio perché rappresentano le contraddizioni dell’uomo vissute attraverso i personaggi e chiaro che è portatore di verità.
Mentre l’uomo epico è sempre uguale a se stesso in lui non c’è niente da cercare tutto è già detto tutto è esplicito è l’eroe perfetto compiuto che non ha bisogno di essere migliorato ,è cosi come si presenta che non può essere smascherato (nel romanzo ci sono personaggi soggetti a smascheramento ,che si presentano in un  modo e poi diventano in un altro modo cosa che non accade nell’epos)non può essere provocato(e nel romanzo c’è una contrapposizione )
L’uomo epico è chiuso nel romanzo è un personaggio aperto che vive infiniti destini, Renzo per esempio ha vissuto mille destini e ancora di più nelle confessioni di Nievo il povero Carlo è l’uomo dagli infiniti destini , rinnovandosi continuamente.
Quello che ci fa capire che ci troviamo di fronte ad un romanzo in senso moderno,perché da Hegel in poi noi parliamo di romanzo in senso  moderno,per mettere accanto Lucash e Bachtin è capire come intende il romanzo Hegel come intende il romando Lucash e come intende il romanzo Bachtin a livello di teoria del genere.
A partire   da Hegel e dall’800 ci troviamo , in Italia, di fronte al romanzo in senso moderno in Inghilterra prima dalla nascita della società industriale e borghesia.
Per essere coerente con quanto aveva detto Bachtin riguardo all’irruzione del presente non ci esime dal considerare romanzi anche romanzi dell’antichità come la Ciropedia perché veniva messa considerato il presente di Senofonte. Nel momento in cui viene incluso il presente già è un l’elemento che ci fa pensare ad una scrittura romanzesca. Per avallare questa sua indicazione Bachtin individua esempi di romanzo in territori molto lontani dal’800 ,sulla base di queste sue convinzioni per il fatto che qualsiasi scrittura romanzesca prefigura l’irruzione del presente, lontani dalla divisione del lavoro e dall’industrializzazione, un ribaltamento rispetto ad Hegel, esempi dove è possibili rintracciare  questi  elementi costituitivi, esempi come il Canzoniere di Petrarca dove il personaggio si trasforma in continuazione dove il concetto di rinnovamento è alla base del discorso di Bachtin .