LEZIONE DEL 23 MARZO

LETTERATURA ITALIANA (23 marzo):

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Ci eravamo fermati alla genesi dell’Ortis, a come Foscolo comincia a riflettere sull’ insegnamento di Tacito e del suicidio come virtù.
Questo trattato sul suicidio doveva essere di carattere filosofico-politico, ma Foscolo non sviluppò questo manoscritto, il cui titolo era “Ultime lettere”, e lo mise da parte; solo qualche tempo dopo cominciò a ricopiare e conservare le lettere che effettivamente andava scrivendo e molte sono state trasferite successivamente nel romanzo. Questo elemento è molto importante perché fa riferimento all’ irruzione del presente di cui aveva parlato Bachtin. Ci troviamo difronte ad un processo di intellettualizzazione di Foscolo, che si rese sempre più conto della necessità di ampliare il suo iniziale progetto del trattato filosofico-politico sul suicidio, lo abbandonò e maturò tutto un nuovo concetto: ciò avvenne con la lettura di Montaigne, Hume e, in particolare, della Nouvelle Heloise di Rousseau e dei dolori del giovane Werther di Goethe.
In seguito a queste letture, il Foscolo ritiene il suo discorso sul suicidio completamente superato e anzi ritenne di dover dipingere sul suicidio, più che di sillogizzare, dando una struttura nuova al suo materiale e al suo romanzo. Foscolo stesso racconta questo processo, la genesi del suo romanzo nella famosa lettera al Bartholdy (il diplomatico berlinese autore d’un “Viaggio in Grecia” che aveva comunicato a Foscolo l’intenzione di Kaulfuss di tradurre l’Ortis in tedesco).
Nella seconda parte della lettera, Foscolo affronta una questione per lui molto scottante: era stato infatti accusato di plagio, di aver copiato il Werther di Goethe. Egli non negò di aver letto il Werther, dichiarò infatti di averlo letto dopo aver completato l’ultimo abbozzo del suo romanzo, ma è innegabile che la “spinta” di passare da un trattato sul suicidio al romanzo gli venne dopo le letture della Nouvelle Heloise di Rousseau e, per l’appunto, del Werther di Goethe. Foscolo cerca di allontanare i sospetti di plagio, ed affronta alcuni elementi interni che fanno capire che si tratta di due romanzi completamente diversi: Foscolo, infatti, afferma che il Werther va incontro ad una trasformazione (come affermato da Bachtin nel 1930 quando tratta dei caratteri dei personaggi nel romanzo), passa da una condizione di felicità a una di infelicità (ci colleghiamo dunque proprio ai caratteri del romanzo in senso moderno secondo Bachtin); invece, dice Foscolo, nell’Ortis Jacopo entra in scena “come uomo che si crede di aver vissuto ormai troppo”, ovvero entra già in scena con un senso di sconfitta, pessimismo, negatività, che non cambia nel corso del romanzo, la morte è presagita e meditata, quasi desiderata fin dal principio e addirittura vagheggiata. Quindi, afferma il Foscolo, che l’Ortis prende le mosse dal sacrificio della patria nostra; quando parla di patria è importante sottolineare che parla di patria in senso ideologico, ideale, non ne parla nel senso di Nazione, ma parla della piccola patria Veneziana (e la delusione che scaturisce, per l’appunto, quando Venezia viene ceduta all’Austria con il Trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797) a differenza della patria a cui farà riferimento Nievo nelle sue Confessioni di un italiano.
Il suicidio si innesta nel significato politico del romanzo, perché il romanzo è frutto di una delusione politica, storica, di tutta una generazione di intellettuali, e non è un fatto personale o individuale. Non si innesta, dunque, nel romanzo, la valenza passionale-amorosa che va solo e soltanto a verifica e a conferma della sconfitta politica. Foscolo riconosce che la magia del Werther risiede in un’unica passione del protagonista (quella amorosa) perché il romanzo di Goethe è destinato al cuore dei lettori, a differenza del suo che è destinato alla mente. Quindi ne discende che l’Ortis ha una natura intellettualistica, per dichiarazione dell’autore stesso (sappiamo bene che Foscolo come re Mida intellettualizza tutto ciò che lo circonda trasformandolo in letteratura). Questo spiega il suicidio come programma, ma non come la risoluzione di un percorso, ed in questo senso vanno intese anche le parole del Foscolo sul suicidio: “io volevo far stimare il suicidio come unico rimedio di certi tempi” (il suicidio come virtù secondo l`insegnamento di Tacito). Il suicidio ha una finalità ideologica, di protesta di questo romanzo, ed è una protesta nella quale confluisce tutta l’onda dell’autobiografismo.

Ecco perché questo libro fu molto amato dai giovani della generazione del Foscolo, i giovani della generazione sconfitta che si riconoscevano in questo romanzo. Da questo punto di vista possiamo considerare l’Ortis un romanzo moderno, perché la sconfitta e la delusione è la sconfitta e la delusione della moderna generazione, e il suicidio diventa il connotato di una intera classe sconfitta, che però visto il risultato di questo romanzo, rischia di essere connotato di un solo individuo (e qui siamo all`individualismo di cui parlava Asor Rosa), e questo individuo è Foscolo, un individuo di eccezione che si colloca al di fuori delle mischie, della folla, delle persone comuni, che si attribuisce il ruolo guida credendo di avere una missione da compiere (accentuato individualismo in questo programma sotteso alla scrittura di questo romanzo) nell`ambito di un ceto intellettuale a sé stante, separato dal popolo, separato dal resto del tessuto sociale. Su questa base si spiega anche la funzione consolatoria della poesia, così come anche il percorso che farà Foscolo a partire dall`Ortis per arrivare alle Grazie, al momento neoclassico, All`Amica risanata, a Luigia Pallavicini caduta da cavallo. È, questo, un itinerario che pone l’accento costantemente su questo processo d’intellettualizzazione, che è un connotato proprio di Foscolo.

Questo discorso di Foscolo si basa sull’edizione del 1802. L’edizione successiva del 1816 è stata revisionata, con tagli e aggiunte (la notizia bibliografica) e soprattutto con l’aggiunta della lettera del 17 marzo che è la cosiddetta lettera politica. In questa lettera Foscolo riflette sulla sconfitta giacobina, ma l’ha scritta nel 1816 e quindi con un metro di giudizio più obiettivo, in quanto scritta a posteriori, nel periodo della Restaurazione, quando era volontariamente in esilio a Londra.
Dell’Ortis è stata fatta anche una lettura di tipo psicanalitico. Innanzitutto Lorenzo è stato visto come un transfert del padre, mentre il suicidio è stato visto come il simbolo/risposta dell’intellettuale giacobino sconfitto nel suo ruolo-guida che si era proposto di essere all’interno della rivoluzione, quindi si tratta di un intellettuale esiliato che rifiuta con forza il buon senso interpretato da Lorenzo il quale, nelle sue risposte, cerca di calmare i furori di Jacopo. Il suicidio vuole essere il connotato di un’intera classe sconfitta, però finisce con l’essere il connotato di un solo individuo (possiamo collegarci qui all’individualismo di Asor Rosa); possiamo quindi dire di trovarci di fronte ad un accentrato individualismo, in cui l’individuo di eccezione, l’intellettuale, non si confonde con le masse, con il resto del tessuto sociale, ma si arroga il privilegio di uomo-guida: da qui alla funzione consolatoria della poesia il passo è breve.

Foscolo dunque prepara già con l’Ortis il terreno a ciò che scriverà dopo:
-1802 comincia a pensare alle Grazie (in cui la poesia è vista con la sua funzione consolatoria);
-1803 traduce la Chioma di Berenice di Callimaco;
-1804 traduce il Viaggio sentimentale di Stern;
-1807 pubblica i Sepolcri;
-inoltre sperimenta la traduzione dell’Iliade (tutto ciò sottolinea, alla base della formazione del Foscolo, l’amore per la classicità, e ne mette in luce la componente sensista e materialista).
A conferma di ciò, ricordiamo il fatto stesso che Foscolo rinuncia a collaborare al Conciliatore, un periodico italiano fondato a Milano nel 1818 da intellettuali romantici, e se ne va in volontario esilio, ci fa comprendere che Foscolo si pregia e si vanta di essere un individuo di eccezione, che naturalmente non si confonde con le masse, col resto del tessuto sociale, si arroga questo privilegio del ruolo-guida dell`intellettuale in questo processo rivoluzionario e, una volta tradito, non vede come altra soluzione il suicidio. A questo concetto si lega quello della funzione consolatoria della poesia (il momento culminante di questa funzione consolatoria della poesia è rappresentato dalle Grazie).
Il passaggio alle opere neoclassiche è spiegato anche dalla concezione che il Foscolo ha di intellettuale deluso dalla storia, alla ricerca di valori consolatori fuori dalla storia stessa. Questi valori sono inseriti in un`armonia nuova, che non è più un`armonia storica, è l`armonia del bello ideale, della bellezza, delle grazie, della bellezza neoclassica. All’intellettuale-guida della società che si proponeva Foscolo durante la rivoluzione, si sostituisce l’intellettuale poeta esule, cantore di un’armonia nuova, che è appunto l`armonia del bello neoclassico, di valori che non esistono più nella storia. Soli così possiamo capire come si passa alle odi neoclassiche e al momento importante delle Grazie. Il sonetto che ci dà proprio la misura di quello che stiamo dicendo è il sonetto “Forse perché della fatal quiete tu sei l`imago a me sì cara vieni, o sera!” (datato 1801), perché questo sonetto offre in modo esplicito il dato della delusione, dell’intellettuale-guida tradito: al concetto di “storia” si sostituisce il concetto di “bello” metastorico (al di fuori della storia) e consolatore, e ciò sarà alla base del neoclassicismo del Foscolo e al relativo sensismo che fa da base al neoclassicismo stesso.
Non a caso il suicidio di Jacopo è il suicidio dell’intellettuale giacobino incapace di sopravvivere allo scacco, alla delusione della storia.


Foscolo si riconobbe pienamente nel direttivo del triennio giacobino (dal 1796 al 1799) con la forza della sua cultura e della sua personalità: si buttò anima e corpo nella battaglia politica, nel 1796 fu addirittura a combattere per la difesa di Bologna nella Regione Cispadana con un ruolo di cacciatore a cavallo, nel 1797 andò a Venezia quando fu istituita la repubblica perché credeva che si potessero realizzare i suoi ideali e chiese di essere ammesso alla Società della Pubblica Istruzione (un’associazione dove si riunivano gli intellettuali e i patrioti allo scopo di propaganda politica e rivoluzionaria) e vi fu ammesso come socio. Partecipò alle sedute di quest’associazione con discorsi a favore della democrazia, contro i soprusi dei nobili. Fu anche segretario della municipalità
provvisoria di Venezia (un organismo di governo che fu costituito all’interno della repubblica veneziana e che prevedeva 3 ordini di sessioni) distinguendosi con prese di posizione contro la corruzione del clero. Dopo Campoformio, Foscolo passò nella Repubblica Cisalpina a Milano, dove collaborò col Monitore italiano, un giornale politico milanese che si fece portavoce delle aspirazioni libertarie italiane, condannò duramente il trattato di Campoformio ed assunse in generale una posizione critica nei confronti dei francesi, dei loro servili sostenitori e criticando l’involuzione della politica francese.
Alla fine del 1798, Foscolo tornò a Bologna e fondò “il Genio Democratico”, un giornale che ebbe però una vita breve, solo 9 mesi in quanto la Repubblica Cispadana crollò a causa degli austro-russi. Dobbiamo tenere presente che con l’ingresso degli austro-russi mano mano le repubbliche giacobine vengono “spazzate via” e che quindi Foscolo si spostava sempre in base alle sorti delle varie repubbliche, le quali ebbero vita breve e crollarono in tempi diversi (l’ultima a crollare fu la Repubblica Napoletana).

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