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SFIDA – IL BULLISMO
Quando
pensiamo al
bullismo,
affiora nell'immaginario collettivo, il personaggio dell'alunno
cattivo di Franti
del libro Cuore,
che spicca per la sua faccia tosta e non teme nulla.
Anche
oggi nelle scuole ci sono allievi che ricordano Franti.
Identificare,
capire aiutare, insomma educare
i ragazzi difficili:
questo è il compito della scuola. Non solo gli allievi facili.
Infatti
sapere insegnare agli alunni “adatti”
è, per don Milani, come
aprire un ospedale che cura i sani e respinge i malati,
e pochi si rendono conto che se si perde un solo Franti la scuola non
è più scuola.
Il
fenomeno del bullismo è relativamente recente
e inizialmente concentrato in età in età
adolescenziale
ma molti episodi di cronaca dimostrano che sta
coinvolgendo anche la scuola primaria.
Il bullismo è solo una delle punte dell'iceberg rappresentato dal disagio adolescenziale: un fenomeno complesso e multifattoriale che richiede una particolare attenzione.
Il bullismo è solo una delle punte dell'iceberg rappresentato dal disagio adolescenziale: un fenomeno complesso e multifattoriale che richiede una particolare attenzione.
E'
nostra convinzione che l'adolescenza sia tra le fasi dell'età
evolutiva, quella che più richiede sollecitudine educativa da
proseguire alla luce di aspetti etici relazionali affettivi sociali.
Esistono
tante adolescenze alle quali ci si deve avvicinare con prudenza per
individuarne
le dinamiche.
La
transizione adolescenziale è connotata da trasformazioni rapide
che implicano conflitti,
instabilità emozionale, inquietudine,
legati a quelli che comunemente vengono chiamati i
“compiti di sviluppo”.
E'
proprio a questa nuova emergenza adolescenziale che occorre guardare
con gli occhi pedagogici più vigili.
Il
bullismo non è un semplice atteggiamento conflittuale tra pari o
un comportamento litigioso nei confronti dei compagni, ma un fenomeno
più articolato che vede coinvolti due
protagonisti,
il
bullo
e la
vittima,
in una dinamica segnata da una evidente
intenzionalità
di fare del male e da un'asimmetria
che accentua la probabilità del ripetersi
di manifestazioni aggressive
del più forte verso il più debole.
La
persistenza nel tempo contribuisce a determinare un quadro patologico
serio
sia per la
vittima, che può presentare sintomi anche di tipo depressivo,
sia per il
bullo, che rischia di cadere in forme di devianza antisociale.
E' raccomandabile che gli interventi correttivi siano predisposti in una prospettiva sistemica che mira al cambiamento non solo dei singoli elementi, ma di tutto il gruppo di cui singolo fa parte, come per esempio il gruppo dei pari, la scuola, la famiglia, agli insegnanti, rapporti con gli altri contesti, ecc...
E' raccomandabile che gli interventi correttivi siano predisposti in una prospettiva sistemica che mira al cambiamento non solo dei singoli elementi, ma di tutto il gruppo di cui singolo fa parte, come per esempio il gruppo dei pari, la scuola, la famiglia, agli insegnanti, rapporti con gli altri contesti, ecc...
Oltre
ad aiutare la vittima è indispensabile intervenire anche su ciò che
causa
il bullismo, quindi
i soggetti coinvolti.
Nell'ambito
scolastico bisogna chiedersi se gli insegnanti siano ancora in grado
di intercettare
lo sguardo dell'adolescente
e cogliere i segnali da correggere.
Premesso
che non si vogliono lanciare accuse alla famiglia o la scuola è
altrettanto vero che è
dalla famiglia e dalla scuola che occorre ripartire
per trovare il bandolo di quella matassa ingarbugliata che si suole
definire educazione.
Infatti
proprio nella famiglia, e anche nella scuola, è possibile
rintracciare una via d'uscita rappresentata da un'educazione
affettivamente orientata,
capace di contrastare la genesi e lo sviluppo del bullismo.
Il
problema è il passaggio
dalla scuola primaria alla scuola secondaria inferiore e da questa
alla scuola secondaria superiore, dove l'attenzione
socio-affettiva per il soggetto in crescita, decresce
vertiginosamente fino a scomparire del tutto o quasi.
L'adolescenza
non è un'età solo incerta, ingrata, difficile, inquieta, di
passaggio, ma anche “affettivamente
in movimento”
con l'implicita richiesta di essere aiutati.
Il
docente,
che pure è chiamato al compito primario della trasmissione
culturale, non
può raggiungere questo traguardo
se contemporaneamente non ha presente che occorre essere
alfabetizzati
anche sotto il profilo affettivo.
Nella
tradizione scolastica secondaria le emozioni sono ricondotte in
genere alla dimensione non
razionale e
in quanto tali marginalizzate
senza considerare che l'homo
sentiens
sta forse prima o comunque insieme all'homo
sapiens.
Un'educazione scolastica orientata a promuovere solo capacità intellettuali e l'acquisizione di conoscenze e competenze, risulta fondata su una concezione parziale dell'uomo.
Un'educazione scolastica orientata a promuovere solo capacità intellettuali e l'acquisizione di conoscenze e competenze, risulta fondata su una concezione parziale dell'uomo.
Sostenere,
al contrario, la necessità dell'alfabetizzazione emotivo-affettiva e
sociale, significa prospettare un agire capace di unificare sapere,
saper fare e saper essere.
Per
l'alunno è molto importante seguire i seguenti punti:
-
saper vivere le emozioni e gli stati affettivi
-
conoscerle dal punto di vista linguistico, corporeo e visivo
-
comprenderle
-
saperle esprimere e comunicarle
Anche
nella scuola primaria i dati parlano chiaro il 41% di bambini che
frequentano subisce prevaricazione o vere e proprie prepotenze.
I
tratti che connotano il comportamento bullo sono
-
l'intenzionalità
-
la sistematicità nel senso di ripetitività
-
la relazionalità (chi agisce, chi subisce, chi è spettatore)
Nei
confronti del bullo, spesso gli insegnanti assumono atteggiamenti
ambivalenti, dunque o
eccessivo
permissivismo o aspro
autoritarismo.
Spesso
ci si dovrebbe ricordare che non è sufficiente operare sul singolo
bullo, ma lavorare sulla
massa di spettatori invisibili.
E'
fondamentale, dunque, un'educazione alla convivenza
democratica, che
può diventare un prezioso spazio di dialogo.
Appare
molto più consono affrontare
il problema, soprattutto nella scuola primaria,
in modo preventivo,
favorendo attività di cooperazione che esaltano il valore della
solidarietà, del “fare
insieme”.
Ma
non si può pensare che il problema del bullismo sia solo di
competenza della scuola, poiché questa può fare molto ma non può
fare tutto.
Occorre,
quindi, stabilire
alleanze con la rete di
attori che si pone in stretta relazione con le altre risorse del
territorio (scuola,
famiglia, parrocchie e tutte le altre agenzie educative).
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